Il Morbo di Parkinson è una malattia complessa, delicata, che in Italia riguarda circa 400mila pazienti, ma che secondo alcuni arrivano anche a 600mila con i casi non riconosciuti come tali. Dietro ogni malato, però, c’è una famiglia che spesso lo assiste da sola, con il solo coniuge o il figlio, senza aiuti esterni. Il rischio di sentirsi isolati o disorientati nella gestione di un paziente Parkinson è grande ed è sentito ancora di più in occasione Giornata mondiale del Parkinson, che cade l’11 aprile. «È molto importante dare un segnale e soprattutto consigli utili ai pazienti, ai loro familiari che sono i primi caregivers e ai medici di famiglia che, con interventi precoci, possono migliorare il decorso della malattia» spiega Gennaro Barbato, neurologo presso la Asl Napoli 1 Centro e autore dell’Almanacco del paziente parkinsoniano (E.L.I. Medica), già autore di altre pubblicazioni sulla malattia neuro-degenerativa caratterizzata – nella fase conclamata – da lentezza, tremore e incertezza nei movimenti.
«Ciò che non tutti sanno, però, è che esistono segnali di allarme precoci, pre-motori, che possono comparire anche 5 o 10 anni prima della malattia vera e propria – dice Barbato – È fondamentale sapere di cosa si tratta e in questo il marito, la moglie, i figli o il medico di fiducia possono darci un grande aiuto». Ecco i consigli dell’esperto.
Cosa si sa della malattia
Il Parkinson può colpire chiunque: persone anziane, con più frequenza, ma anche più giovani; personaggi noti ne sono stati colpiti, come Francisco Franco di Spagna, Yasser Arafat, Leonid Breznev, Salvador Dalì, Charlie Chaplin, Mao Tse Tung, e tra le star hollywoodiana Michael J. Fox, fino ad arrivare a Papa Giovanni Paolo II, al pugile Muhammad Alì, George W. Bush o ancora Sergei Brin, il cofondatore di Google. Nella diffusione non c’è una differenza significativa tra uomini e donne. Tra queste, ne soffrì Marella Caracciolo, moglie di Giovanni Agnelli, icona e musa ispiratrice di artisti. La malattia, che prende il norme da James Parkinson, il giovane medico di famiglia che nel 1817 per primo ne descrisse i sintomi evidenti, spesso viene riconosciuta dal solo tremore o da limitazioni nei movimenti: lentezza, rigidità nelle gambe quando si cammina o anche nelle braccia, nel gomito o nella mano sono i tratti caratteristici, ma ne esistono altri meno noti.
I sintomi meno noti: stipsi, depressione, sogni particolari
«Quando si arriva al tremore, che tra l’altro può essere di vario tipo, spesso si è già in una fase avanzata e tardiva della malattia. Esistono invece dei sintomi pre-motori sottovalutati o non riconosciuti nella diagnosi del Parkinson: stipsi, riduzione o mancanza olfatto e un certo tipo di depressione. Un altro campanello d’allarme che passa inosservato è invece un disturbo particolare del sonno: consiste nel fare sogni di lotta, urlare, dimenarsi o scalciare, senza poi ricordare nulla al risveglio. Il paziente, dunque, non lo riferisce: è qui che entrano in gioco i familiari. È un sintomo premonitore importante, che può comparire anche 5 o 10 anni prima del Parkinson. Se riconosciuto per tempo, ci permette di monitorare la situazione e intervenire sul decorso della malattia» spiega il neurologo.
La cause
Il Parkinson è causato da una degenerazione dei neuroni dopaminergici di una regione del cervello, cioè quei neuroni in grado di produrre dopamina che contribuisce alla corretta esecuzione dei movimenti. La conseguenza della mancanza di dopamina, quindi, porta a una riduzione globale del movimento oppure allo sbilanciamento del tono dei muscoli che servono a flettere ed estendere, dunque l’effetto può essere un’eccessiva rigidità o il tremore.
La ricerca e le cure
Le cure nella maggior parte dei casi sono soprattutto sintomatiche, dunque vanno a mitigare i sintomi esteriori, senza poter risolvere la causa. Gli esperti si stanno concentrando sulla terapia genica e sulle cellule staminali, con il trapianto di cellule mesencefaliche fetali, che ha già dato risultati positivi su alcuni pazienti, e di cellule staminali adulte mesenchimali (prelevate dal cervello del paziente o da un donatore, adeguatamente trattate, e reintrodotte nell’organismo). Ma per il momento non sono ancora disponibili nelle comuni terapie. Ad oggi il ricorso al neurologo è l’unica “arma”: «Al momento si ricorre a farmaci come la Levodopa che resta il trattamento più efficace per il Parkinson in tutti gli stadi della malattia; è il precursore della dopamina e viene convertita a dopamina nel cervello» spiega Barbato – Ma si può contribuire a un decorso positivo della malattia anche con il movimento e la dieta»
Dieta e attività fisica
«Nuove ricerche dimostrano che una dieta con antiossidanti come carotenoidi (vitamina A), luteina, vitamina C ed E, è fortemente legata a un ridotto rischio di parkinsonismo e può incidere sulla progressione dei sintomi parkinsoniani, rendendola più lenta». Non si tratta di seguire uno specifico regime alimentare, però, perché è sufficiente la Dieta Mediterranea: «È il punto di riferimento in tutte le malattie neuro-degenerative, grazie agli antiossidanti presenti in frutta, verdura e pesce, oltre a un apporto più contenuto di proteine di originale animale e grassi saturi inferiori. Le fibre, inoltre, aiutano a livello intestinale» conferma il neurologo, che insiste sull’importanza dell’attività motoria: «È stato dimostrato che l’attività fisica può rallentare il decorso della malattia. Dovrebbe essere aerobica, anche una semplice passeggiata all’aperto o sul tapis roulant, ma può comprendere anche lo yoga o uno sport come il tennis o la danza – spiega Barbato – Proprio il ballo, per esempio, è stato dimostrato che può dare grande beneficio perché non solo contribuisce a rafforzare l’elasticità delle articolazioni, ma ritarda i sintomi del Parkinson perché aiuta a ripristinare alcuni schemi motori principali che altrimenti andrebbero man mano persi».