Alle quattro del pomeriggio – di uno dei tanti pomeriggi senza una reale occupazione – Carmen Lasorella ha già il cellulare scarico. «Può chiamarmi tra mezz’ora?», chiede garbata, con la sua voce ferma, incisiva. «Sarò dal parrucchiere. Potremo parlare tranquillamente». Da tre anni, e dopo ventidue di carriera inarrestabile (inviata di guerra, conduttrice di Tg, corrispondente da Berlino), Carmen Lasorella non ha più un ruolo. A 52 anni prende uno stipendio da vicedirettore, ma è stata allontanata dai teleschermi, dimenticata.
Come passa le sue giornate?
«Leggo, studio, scrivo. Ho comunque una vita serena, piena di affetti. Un compagno che amo e poi c’è Nanur, il mio dolcissimo cane. Il paradosso è che sono nel pieno della maturità professionale, ma alla Rai non interessa».
Come ha valutato l’interpellanza con cui 43 senatori hanno chiesto di porre fine al suo esilio?
«Trovo notevole il fatto che sia stata un’iniziativa bipartisan e ringrazio uno per uno i senatori che l’hanno firmata, ma è assurdo, non trova? Deve mobilitarsi il Parlamento per fare lavorare un giornalista?».
Ha avuto reazioni da parte della Rai?
«Nessuna. Proprio adesso è in corso un consiglio di amministrazione, ma so già di cosa stanno discutendo: nomine nel segno della lottizzazione. Il resto non ha udienza. Bisogna entrare nelle liste indicate dai partiti. Io non ci sono, né potrei entrarci adesso. Io so stare solo dalla parte del pubblico».
Ma perché ha aspettato tre anni prima di rendere pubblico il suo caso?
«Ho cercato una soluzione interna. Ho una storia, un’immagine: ero convinta che un segnale sarebbe arrivato. Ho parlato con i membri del Cda, con la Direzione Generale, con tutti. Ho incontrato disponibilità, e stupore per la mia situazione. Il problema è che dopo lo stupore, il nulla».
Lei aveva fatto proposte concrete?
«Certo. Ho presentato progetti, in particolare un format sullo straordinario apporto dell’associazionismo in Italia, nei settori più svariati. Ma in Rai, oltre alla lottizzazione, c’è un altro problema: per fare programmi devi appartenere alle cordate o avere un agente. Anche la creatività ormai è appaltata all’esterno».
Questo per l’informazione. Sul versante spettacolo, invece, abbiamo Vallettopoli…
«Ha portato in luce un sistema vecchio di anni. Sulle ginocchia di un produttore, in quante si sono sedute? Il sistema però poi si è strutturato, sembra diventato impossibile uscirne».
Ma allora i bravi come vanno avanti?
«I bravi non arrivano neppure. I curricula non li legge più nessuno. Il sistema non si rigenera».
Cosa prova quando accende la tv?
«Spesso mi arrabbio. Ormai la tv insegue i fatti, li racconta quando sono accaduti. Prendiamo l’Iraq. I servizi sono diventati l’elenco dei morti del giorno. Ma dove è l’analisi? La denuncia? La visione d’insieme?».
Le è pesato molto non essere stata inviata in Iraq per l’ultimo conflitto?
«Sono stata la prima ad avere il visto in tasca. La regola è che parte chi ha i requisiti: non è andata così».
Ma lei si riconosce qualche responsabilità?
«Sicuramente la mia dote principale non è la diplomazia. Più di una volta avrei dovuto contare fino a dieci».
I suoi pregi?
«Sono diretta, l’antitesi dell’ipocrisia. Precisa, ho il rispetto dei fatti e delle persone, e una curiosità mostruosamente intatta».
È andata comunque all’estero, di sua iniziativa, per alcuni reportage…
«Certo, lontano dai fatti è dura. Mi ha fatto piacere realizzare un reportage nel Libano in guerra per Giovanni Minoli e andare in onda su Rai International. Non mi interessano le comparse saltuarie sui canali “in chiaro”. Non ha senso».
Se la situazione non dovesse sbloccarsi?
«Mi auguro che prevalga il buon senso, altrimenti…».
A cosa sta pensando?
«Non posso certo anticiparlo».
Passerebbe alla concorrenza?
«Non escludo nulla. Una cosa è certa: non lascerei in punta di piedi».