Mai trascurare sintomi come infiammazione e sanguinamento delle gengive. Possono essere le spie di un disturbo molto diffuso: la parodontite. Ne soffre un italiano su due, soprattutto donne con più di 50 anni. Ma molte se ne accorgono quando questa infezione ha già intaccato l’osso o, addirittura, ha portato alla perdita del dente. Peccato perché oggi si può affrontare il problema in modo meno traumatico e doloroso con l’uso combinato di laser e microscopio.
Una garanzia in più anche dal punto di vista della sicurezza in tempi di Covid: il microscopio, oltre a offrire una migliore visibilità, permette di mantenere maggiore distanza tra il dentista e il viso del paziente. Ma non è la sola precauzione che stanno mettendo in atto gli studi dentistici. «Nelle nostre cliniche abbiamo adottato protocolli a prova di contagio e screening di accesso obbligatori, a partire dalla misurazione della febbre» spiega il dottor Francesco Martelli, fondatore dei centri IMI-EDN. «E, grazie a un accordo con un laboratorio diagnostico partner della Regione Toscana, siamo attualmente in grado di eseguire test sierologici periodici e, quando sarà possibile, tamponi, ai pazienti e agli operatori, per la sicurezza e la serenità di tutti».
La terapia meccanica
«L’utilizzo del laser associato al microscopio operatorio ha rivoluzionato il trattamento della parodontite» spiega il dottor Martelli, odontoiatra e ricercatore. «La terapia chirurgica tradizionale, infatti, oltre a essere più invasiva, non risolve il problema. Perché non è in grado di eliminare tutti i batteri “cattivi” che causano l’infezione e predispongono alle ricadute. Il laser invece è capace di agire su più fronti e di essere efficace su tutte le forme di parodontite, comprese quelle più aggressive. Riusciamo a ottenere questi risultati anche grazie al microscopio operatorio che utilizziamo già nella prima e indispensabile fase del trattamento: la terapia meccanica, una pulizia profonda che elimina il tartaro e la placca batterica dalle tasche gengivali. Lavorare con il microscopio ci consente di raggiungere i punti più nascosti delle tasche gengivali». Dopo questa profonda e accurata pulizia si passa alla laser terapia.
Tre effetti in uno
«Noi utilizziamo il neodimio yag, un laser molto potente capace di colpire in modo mirato solo i batteri nocivi, senza danneggiare i tessuti» assicura il dottor Martelli. «Così riusciamo a raggiungere i nascondigli dei batteri all’interno dell’osso. E, soprattutto, a penetrare dentro i tubuli dentinali, dove gli antibiotici non possono arrivare perché non sono vascolarizzati. Il laser ha anche un altro importantissimo effetto: smorza l’infiammazione perché blocca la produzione delle principali molecole che la provocano, le interleuchine 1».
Così si eliminano subito il sanguinamento e gli altri sintomi. Si riduce o si risolve la mobilità dei denti e si chiudono le tasche gengivali. In più la laser terapia, grazie alla biostimolazione delle cellule staminali, favorisce la rigenerazione dell’osso. Uno studio condotto su quasi 3000 pazienti curati con il metodo Perioblast (Periodontal Bio Laser Assisted Therapy), e pubblicato sullo European Journal of Clinical Microbiology & Infectious Diseases, ha provato che la terapia funziona per tutti i tipi di parodontite e i risultati si mantengono anche a distanza di 24 mesi.
La cura è personalizzata
Prima di iniziare la cura però è fondamentale valutare il livello di gravità della malattia attraverso particolari esami. Così si può studiare un percorso terapeutico su misura per ogni paziente. Il test più importante è quello microbiologico che dà indicazioni sulla quantità e sul tipo di batteri presenti in bocca. «Il microbiota del cavo orale è uno dei più ricchi e vari, con oltre 1000 specie batteriche diverse che, in uno stato di salute, sono in equilibrio» racconta Vincenzo Di Pilato, ricercatore in microbiologia all’università di Genova.
«Quando c’è uno stato infiammatorio si altera questo equilibrio e i microrganismi patogeni prendono il sopravvento. Tra quelli che ritroviamo più spesso in caso di parodontite conclamata ci sono Tannerella forsythensis, Treponema denticola o Porphyromonas gingivalis. E Fusobacterium nucleatum, che si riscontra anche negli stadi moderati». In base ai risultati del test si decide il numero di sedute laser. L’esame viene poi ripetuto alla fine per accertarsi che la carica batterica sia stata abbattuta.
Le faccette estetiche hi-tech
Una volta guarita la malattia, quello che ogni donna vorrebbe è ritrovare tutta la bellezza del suo sorriso. «Se la parodontite ha lasciato dei segni c’è una tecnica che prevede il ricorso a una speciale fibra adesiva sulla quale si incollano delle faccette estetiche, realizzate con sistemi digitali che garantiscono la massima precisione» spiega il medico. «Questa specie di nastro ha anche la funzione di tenere uniti i denti, stabilizzando quelli a rischio mobilità».
50 anni, un’età piena di energia
«Le cinquantenni di oggi vogliono mantenersi in forma il più a lungo possibile e sono molto attente alla loro salute, compresa quella del sorriso» dice il dottor Francesco Martelli, fondatore delle cliniche IMI-EDN (www.excellencedental network.com). «Hanno bisogno di superare quel momento così delicato che è la menopausa, di sentirsi assistite e coccolate. Nelle nostre cliniche odontoiatriche ci prendiamo cura non solo della salute della bocca ma dell’organismo nel suo complesso. E in particolare di quei disturbi a cui sono più soggette le over50 come la parodontite e l’osteoporosi. Per questo ci siamo sentiti subito in sintonia con il progetto 50&me. La nostra missione è da sempre portare avanti la ricerca, trattando la malattia parodontale e le patologie sistemiche ad essa correlate con tecniche diagnostiche e terapie innovative».