«E poi Tobia è nato in salotto, con me che ero a terra, “ancorata”al divano, abbracciata da mio marito. Il travaglio era iniziato in camera da letto, ma a un certo punto ho preso a camminare e mi sono ritrovata nell’altra stanza. Le mie ostetriche hanno capito che il posto sarebbe stato quello, e hanno preparato teli, cuscini e tutto il necessario». Quando arriva a questo punto del racconto a Michela scappa una risata un po’ imbarazzata. Sa che stupisce sentire che lei, che di lavoro fa l’ostetrica e di bimbi ne vede nascere ogni giorno in ospedale, 5 mesi fa ha scelto di dare alla luce il suo piccolo fuori da una sala parto. «All’inizio della gravidanza pensavo: “faccio il travaglio a casa e poi volo in sala parto”. Poi ho messo da parte l’ostetrica e pensato a ciò che voleva la donna, esaminando i fatti: la mia gravidanza era perfetta e l’ospedale è a due passi da casa».
Di parto a domicilio si è tornati a parlare nelle ultime settimane, dopo il successo del bellissimo film del regista ungherese Kornél Mundruczó, Pieces of Woman, che mette in scena il dolore di una giovane madre per la perdita della sua neonata, durante un parto casalingo. La lunga sequela di errori e imprevisti lascia addosso un senso di angoscia e molte domande. Vista con gli occhi delle mamme che la fanno oggi in Italia, però, questa è tutta un’altra esperienza.
Michela la racconta con un tono di voce pacato: «Quando fai questo passo hai imparato così bene ad ascoltare il tuo corpo e il tuo bambino che arrivi all’appuntamento consapevole, non sei in balìa degli eventi. L’assenza totale di rischio non esiste, neanche in ospedale, ma se qualcosa non va, si è in grado di capirlo prima che diventi emergenza. La differenza rispetto alla sala parto è un’altra e io l’ho percepita dalla prima contrazione, dall’istante in cui ho capito che mio figlio si stava preparando a nascere. Intorno a me a poco a poco è stato come se le luci si abbassassero e il tempo rallentasse per farci spazio: per tutte quelle ore in cui mi sono sentita immersa nel dolore ma anche in una inarrestabile marea di emozioni, a proteggere me e Tobia c’era un mondo di affetti e attenzione, nessun estraneo che mi dicesse quello che dovevo fare, che interrompesse il flusso dei miei pensieri e delle mie sensazioni con domande, monitoraggi, visite. Ero io con la mia famiglia e con le mie ostetriche, senza luci al neon o gente che entrava e usciva dalla stanza».
Il 79% delle donne che scelgono il parto a domicilio abita nel Nord Italia, l’età media è di 33,6 anni, il 58% è al secondo figlio
Come Michela, in Italia più di 500 madri ogni anno (a conti fatti significa meno di 2 ogni mille) partoriscono nelle loro abitazioni o nelle case maternità, appartamenti arredati per ospitare chi sceglie il parto naturale. Si rivolgono a ostetriche private, abilitate per legge a seguire le donne con una gravidanza fisiologica fino al giorno della nascita. E tra chi fa questa scelta non è raro trovare medici e operatrici sanitarie. «Oggi il parto in casa non è come negli anni ’50, con la donna che era sola con la sua levatrice» spiega Marta Campiotti, presidente onoraria e fondatrice dell’Associazione nazionale ostetriche parto a domicilio e casa maternità, la più rappresentativa in Italia, con circa 400 parti all’anno.
Non si tratta di una presa di posizione ideologica
«C’è un accurato periodo di preparazione, che coinvolge anche i papà. L’iter segue precise e appropriate procedure assistenziali e in casa con la mamma siamo in due: se anche solo una ha un’incertezza o un dubbio, si va in ospedale». In tanti credono che dietro questa scelta ci sia una presa di posizione ideologica. «Più semplicemente le donne che chiedono il parto a domicilio vogliono accogliere il proprio bambino con più calore. Chi viene da noi per altri motivi cambia idea a metà del percorso».
Il suo travaglio Michela lo racconta come “intenso e doloroso”, 8 ore senza interruzioni, dall’una e mezza di notte fino all’alba e ben oltre. Tobia è arrivato alle 9 e 30 del mattino: «Mi alzavo, mi accucciavo, spingevo. Non mi sarei più mossa da lì, ero immersa verso il traguardo, mio marito era accanto a me. Pensa se a un certo punto della notte avessi dovuto vestirmi, mettermi in macchina, seguire la trafila dell’ospedale. Si sarebbe spezzato tutto».
La nascita non è un evento medico
Michela vede travagli tutti i giorni e conosce la differenza. «Chi indossa il camice in ospedale si impegna per fare al meglio il suo lavoro, ma è comunque parte di una grande macchina che per potere funzionare deve darsi un’organizzazione. Molti si sentono giustamente rassicurati da questo, ma il meccanismo non tiene conto di un fatto: la nascita non è un evento medico, non è come un’appendicite, è un’esperienza che cambia la vita a intere famiglie. Sì, noi ce la mettiamo tutta, ma anche quando tutto è finito, se qualcuna ha bisogno di un’attenzione particolare, non sempre abbiamo il tempo per dargliela».
Dopo il parto
Il dopo, appunto. Si crede che il momento delicato per una donna sia quello della nascita, ma è anche nei giorni successivi che il peso fisico ed emotivo della maternità si fa sentire. Michela ha 27 anni e questa è stata la sua prima gravidanza. «Nei primi giorni ero fiaccata: mi sentivo debole, all’inizio non riuscivo ad allattare. Però le mie ostetriche erano lì ogni giorno, sapevano chi ero e come prendermi, mi spiegavano con pazienza. E Tobia era sempre con me. Io lavoro nel nido del reparto maternità, e a due ore dalla nascita prendiamo i neonati per cambiarli e lavarli, fa parte della routine organizzativa. Ecco, io questo non lo volevo. Dopo la nascita ho tenuto il bimbo abbracciato a me per un tempo che mi è sembrato infinito, quello che ci è servito per ritrovarci, pelle contro pelle. E per rassicurarlo. Non l’ho lasciato un secondo finché non è arrivato il pediatra. E l’ho lavato dopo due giorni».
Parto in casa: come funziona oggi in italia
Per partorire a domicilio si può scegliere un’ostetrica privata che deve avere una formazione specifica o associazioni di professioniste che offrono questo tipo di assistenza. Il costo è di circa 2.000 euro ma Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Lazio, e le province di Bolzano e Trento offrono un rimborso parziale, che in certe Asl diventa totale.
Alcune Asl mettono a disposizione punti nascita o un’assistenza a domicilio. Punta di eccellenza è l’ospedale Sant’Anna di Torino che da 20 anni offre un servizio dedicato e gestito da ostetriche provenienti dalle unità operative di ostetricia, con la possibilità di chiedere consulti agli specialisti dell’ospedale.
Non esistono indicazioni ministeriali, le Regioni che offrono un rimborso ne hanno di proprie. L’Associazione nazionale culturale ostetriche parto a domicilio (nascereacasa.it) si è data linee guida in sintonia con quelle regionali e con le indicazioni internazionali. Prevedono, tra l’altro, la costruzione di una rete con il pediatra e la presenza di un ospedale di riferimento, che deve essere a un massimo di 30-40 minuti di distanza. La donna deve essere sana, la gravidanza fisiologica.
Foto di Roberta Giusti