Nell’intimità di casa, in silenzio, con la voglia di essere protagoniste. Le donne che hanno partorito a domicilio raccontano di queste sensazioni. Eppure in Italia sono una goccia in un lago già piccolo: nel 2016 il nostro Paese ha toccato quota 470.000 nascite e quelle tra le mura domestiche sono state circa 1.000, il 2%. A dirlo è l’Associazione nazionale culturale parto in casa (www.nascereacasa.it). In Europa rimaniamo il fanalino di coda, mentre l’Olanda guida la classifica con 1 fiocco a domicilio su 3. Cosa frena la scelta? Da una parte la paura delle possibili complicazioni; dall’altra il nostro sistema sanitario che non incentiva le nascite fuori dalle strutture ospedaliere.
Chi sono le mamme che partoriscono in casa
Marta Campiotti fa l’ostetrica da 40 anni ed è presidente dell’Associazione nazionale culturale parto in casa. «Le donne che si rivolgono a noi hanno tra i 25 e i 40 anni, lavorano, sono istruite, spesso convivono invece di essere sposate e sono al primo figlio» spiega. «Abitano soprattutto al Centro Nord, anche perché al Sud mancano ostetriche specializzate. Fanno questa scelta perché rifiutano la rigidità dell’ospedale e non temono il dolore (in casa non c’è la possibilità di avere l’anestesia epidurale, per la quale serve un medico specializzato, ndr). Cercano naturalezza e lentezza». L’eccessiva medicalizzazione del parto è una delle motivazioni che avvicina le mamme ai servizi a domicilio. Ma non tutte possono usufruirne.
I requisiti per partorire in casa
«Una ricerca internazionale su 100.000 nascite dimostra che in casa non aumentano i rischi» spiega Marta Campiotti «ma la sicurezza è comunque sempre al primo posto. Ci sono regole precise per poter partorire in casa: la gravidanza deve essere fisiologica, a termine, non gemellare, la donna in perfetta salute, il bimbo normopeso e cefalico. La futura mamma arriva preparata e fino all’ultimo può cambiare idea. Le ostetriche operano in coppia, sono specializzate e ci dev’essere un ospedale nelle vicinanze. La maggior parte dei trasferimenti avviene perché il travaglio si ferma e serve un aiuto farmacologico, come l’ossitocina che stimola le contrazioni».
Perché i medici contrastano il parto in casa
Se le ostetriche fanno rete e sostengono le nascite a domicilio, i medici rimangono scettici. «Cerchiamo di chiudere le strutture con meno di 500 nascite all’anno perché poco sicure e dovremmo incentivare il domicilio?» dice Vito Trojano, vicepresidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia. «La sala parto ideale deve avere vicini sala operatoria, anestesisti e rianimazione. L’ostetrica è la protagonista della nascita fisiologica, ma se all’improvviso c’è una complicazione serve un medico, subito. Io capisco le donne perché c’è stata un’eccessiva medicalizzazione della gravidanza, ma allora è meglio investire fondi sulle sale nascita, strutture speciali che richiamano l’intimità della casa ma sono all’interno dell’ospedale e, quindi, sicure al 100%».
Cosa sono le case maternità
Purtroppo, le sale nascite si contano sulle dita di una mano: hanno più fortuna le case maternità, piccole strutture private gestite da ostetriche. Nel 2017 ne sono state aperte 5, ma in tutta Italia arrivano appena a una decina. «I motivi sono perlopiù economici» dice Elisabetta Malvagna, autrice di Il parto in casa (Il leone verde). «Le Regioni danno un rimborso agli ospedali per le prestazioni: per il parto è circa di 1.500 euro, di più se è cesareo. È un caso se questi sono quasi il 40%? Invece il parto in casa costa alla famiglia circa 2.500 euro e solo 6 Regioni danno un rimborso parziale. Ma tante donne non sanno neppure che possono averlo».
LE TESTIMONIANZE
Valeria Ferloni, 44 anni, di Como:«Neva è la mia terza figlia: l’ho partorita in casa cantando e l’ho coccolata per ore, senza fretta»
«I miei primi 2 figli sono nati in ospedale. Poi 5 anni fa sono rimasta incinta di Neva: è stato come una nevicata in agosto, volevo qualcosa di speciale e ho iniziato un percorso con un’ostetrica esperta di parto a domicilio. Dubbi sulla sicurezza? Lei li ha sciolti tutti. Io ha fatto fronte a quelli del mio compagno: è un giocatore di basket e gli ho detto che quella era la mia partita. Il giorno del parto si sono rotte le acque alle 11 del mattino. Per ore non è successo nulla, alla sera ho fatto una passeggiata e dopo un massaggio mi sono addormentata sul divano. All’1 di notte le contrazioni sono diventate fortissime: ho acceso il mio cd e ho iniziato a cantare, mentre le ostetriche preparavano lenzuola e coperte sul pavimento. Appena mi sono messa carponi, Neva è uscita. È stata una tempesta di emozioni: la bimba era in braccio a me, era già nel nostro nido e c’eravamo solo noi. L’ho coccolata per ore senza fretta e solo alla fine hanno tagliato il cordone ombelicale. Il nostro legame unico si è formato quel giorno».
Vidya Miele, 31 anni, di Varese: «Il travaglio si è bloccato: l’ostetrica mi ha portata in ospedale ed Enea è nato col cesareo»
«Mia mamma mi ha partorita in casa, e quando ho saputo che sarebbe arrivato Enea ho deciso di seguire il suo esempio: l’ospedale, i medici, la sala parto non facevano per me. Quando sono arrivate le contrazioni il dolore, pur fortissimo, non mi pesava: mi concentravo sul corpo e sui segnali che mi mandava, respiravo e vocalizzavo come mi avevano insegnato le ostetriche. Ero contenta di essere protagonista del momento insieme al mio compagno, senza interferenze. Poi, però, il travaglio si è bloccato, non mi dilatavo più e il piccolo non si posizionava nel modo giusto. L’ostetrica ha deciso di accompagnarmi in ospedale, dove mi hanno subito fatto il cesareo. È stato come spezzare un incantesimo: ero stanca, avevo problemi con l’allattamento e di fronte avevo solo la freddezza e la fretta del personale. Enea ha appena compiuto 1 anno e se tornassi indietro rifarei comunque tutto da capo, è stata una scelta consapevole».