La mia prima figlia è nata con il parto cesareo. E la felicità assoluta di stringerla finalmente fra le braccia è stata, lo confesso, un po’ inquinata dalla frustrazione, dalla delusione di non essere riuscita a fare un parto naturale.
Certo, come tutte avevo una gran paura del travaglio, di quei dolori descritti da tante come insopportabili. Ma io desideravo tantissimo vivere quest’esperienza unica.
E ci sono rimasta malissimo quando, verso le 9 di sera, dopo 10 ore di travaglio (o almeno quello che a me sembrava tale) il ginecologo mi ha detto: «Meglio non aspettare che tu sia sfinita oppure rischiare una sofferenza fetale e magari essere costretti a fare un cesareo d’urgenza».
Così ho acconsentito a malincuore e confortata solo dal pensiero che avrei visto nascere la mia bambina, perché mi avrebbero fatto l’anestesia epidurale.
È andato tutto benissimo: Francesca è nata senza fare fatica, con il viso disteso e roseo. E la delusione è stata immediatamenta sostituita dalla gioia inifinita.
Ma quando sono rimasta incinta la seconda volta il desiderio di ritentare con il parto naturale è diventato quasi una fissazione. Nonostante il ginecologo me lo avesse sconsigliato per via del rischio di rottura dell’utero.
Così mi sono informata per tempo e ho scelto di andare a partorire in un ospedale dove sapevo mi avrebbero davvero aiutata a tentare il cosiddetto “travaglio di prova”.
E fino a qualche anno fa non era facile trovarne. Adesso è molto più semplice. Anzi, il Vbac (Vaginal Birth After Cesarean), cioè il parto vaginale dopo un cesareo, ora è una tendenza, come raccontiamo sul numero 42 di Donna Moderna, in edicola questa settimana, e on line oggi.
Tanto che l’Istituto superiore di Sanità ha messo a a punto delle apposite linee guida.
E continuano ad arrivare conferme e nuovi dati sulla sicurezza del Vbac anche dall’estero, come riporta qui Onda, l’Osservatorio nazionale per la salute della donna.
Nonostante anni fa fosse molto diverso e mi guardavano come se fossi pazza, io ero fermamente determinata a partorire naturalmente.
Mi sono anche “armata” di rimedi omeopatici per favorire le contrazioni e la dilatazione del collo dell’utero. E alla fine ce l’ho fatta.
Non è stata una passeggiata, perché sono entrata in ospedale alle 7 del mattino e mia figlia è nata quasi a mezzanotte. E finché non mi hanno rotto artificialmente le acque, verso mezzogiorno, il travaglio vero e proprio non è partito.
Ma ne è valsa la pena. Perché non sono dolori qualsiasi: ti senti letteralmente attraversata dalla forza della natura. È una sensazione esaltante.
Un’esperienza che sono contenta di avere vissuto. Adesso, ripensandoci a distanza di tempo, ma anche subito dopo.
Perché quando il ginecologo mi ha chiesto: «Lei che li ha provati tutti e due, quale tipo di parto preferisce?», io ho risposto senza esitazione «Il parto naturale!».
Questo succedeva esattamente 16 anni fa. Perché oggi è il compleanno di mia figlia Margherita. Auguri amore mio! E auguri a tutte le donne che dopo un cesareo vogliono tentare il parto naturale.
E voi come vorreste o come avreste voluto partorire?
di Annaleni Pozzoli