Nella sede del Cairo dell’EIPR (Egyptian Iniziative for Personal Rights), ong egiziana che difende i diritti umani, dal 7 febbraio si vive come in mezzo a una tempesta. Patrick Zaki, arrestato e torturato dalle forze di sicurezza e ora in attesa di processo (vedi box sotto), era uno dei loro ex collaboratori. In una delle stanze dell’appartamento in stile liberty che ospita EIPR, una donna minuta, china sui faldoni giudiziari, non riesce a nascondere la stanchezza.
Si chiama Hoda Nasrallah, è il capo del team di difesa di Zaki e sa che liberarlo sarà difficile. Le accuse contro di lui sono durissime anche se si basano, secondo i suoi avvocati, su verbali falsi. «Dai servizi di sicurezza nazionale abbiamo avuto solo il numero del caso, non i contenuti dell’ordinanza di arresto» spiega. «Speriamo di ottenerli appena inizierà il processo in tribunale».
«Anche noi legali siamo continuamente fermati dalla polizia»
Nata al Cairo 40 anni fa, figlia di un impiegato statale, laurea in Giurisprudenza, dopo aver fatto pratica in alcuni studi legali della capitale Hoda Nasrallah ha seguito la sua passione iniziando a collaborare con le organizzazioni che si occupano di diritti umani e sindacali. Da 13 anni è in prima fila nella lotta alla repressione in un Paese dove il regime del presidente Abdel Fattah el-Sisi ha totalizzato dal 2013 a oggi a 60.000 arresti politici e una media di 3 sparizioni forzate al giorno.
Per le strade del Cairo, dopo l’ultima ondata di proteste antigovernative di settembre, è difficile persino camminare senza essere controllati: a essere fermati sono gli stessi avvocati per i diritti umani. «Lo spazio pubblico è chiuso, ormai seguiamo solo casi politici e siamo davanti a continue violazioni dello Stato di diritto» continua Hoda. «Il lavoro legale non esiste quasi più: quello che facciamo anche durante i processi è soprattutto assistere psicologicamente le vittime degli abusi».
«Ho vinto un un’istanza importante per la parità di genere»
Hoda Nasrallah, che fa parte della minoranza copta (circa il 10% della popolazione), era salita alla ribalta della cronaca alcuni mesi fa, quando dopo la morte del padre aveva contestato in tribunale la legge sull’eredità che ispirandosi ai principi della Sharia musulmana prevede che il patrimonio venga spartito in maniera diseguale tra uomini e donne. Dopo aver portato l’istanza a 3 corti diverse, è riuscita a far valere la dottrina cristiana che prevede la parità di genere in merito all’eredità.
Alla retorica del soffitto di cristallo preferisce la lotta concreta. «Fare l’avvocato ed essere una donna è difficile qui» ammette. «Ma ci sono state altre prima di me, fin dagli anni ’50, io seguo le loro orme cercando di essere all’altezza» dice Hoda, mentre lavora al caso di Zaki. «Ne abbiamo visti tanti, si viene accusati per l’attività politica: anche se legalmente presentassimo una difesa ineccepibile, tutto potrà succedere».
Patrick Zaki, un caso che ricorda quello di Giulio Regeni
Il caso di Patrick Zaki, 27enne ricercatore sui diritti umani che da settembre studiava all’università di Bologna, ha mobilitato l’opinione pubblica europea che ha collegato la sua vicenda a quella di Giulio Regeni, lo studente trovato morto il 3 febbraio 2016 al Cairo dopo una sparizione di 9 giorni. Patrick Zaki ora è in custodia cautelare in carcere, dopo essere scomparso dall’aeroporto del Cairo e aver subito torture in una struttura dei servizi segreti civili. Riapparso dopo 27 ore, ha a suo carico 5 accuse tra cui diffusione di false informazioni, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza.