Garantire la possibilità di avere il pediatra fino ai 18 anni, come già avviene in altri Paesi europei. A chiederlo sono i pediatri stessi, secondo i quali questo non solo permetterebbe di mantenere un rapporto di fiducia per un periodo più lungo, ma anche di gestire una fase delicata come l’adolescenza affidandosi a un medico che conosce il ragazzo/a fin dall’infanzia.

Perché è utile il pediatra fino a 18 anni

La richiesta dei pediatri è arrivata in occasione degli Stati Generali della Pediatria, convocati al Ministero della Salute dalla Società Italiana di Pediatria. Tra le criticità ci sarebbe proprio l’interruzione dell’assistenza pediatrica ai ragazzi dai 14 anni, quando si deve lasciare il pediatra per passare al medico di medicina generale, cioè quello di famiglia. Questo avviene nonostante per l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, e per la legge italiana (legge n.176 del 1991) l’infanzia includa ogni persona sotto i 18 anni. Di fatto, invece, dopo i 14 anni i bambini non possono più essere seguiti dal pediatra di libera scelta, ma finiscono in carico al medico dell’adulto con la sola eccezione per i bambini con patologie croniche che possono affidarsi al pediatra per altri due anni, fino ai 16.

L’obiettivo, invece, sarebbe «garantire a tutti i minori il diritto alle cure pediatriche sino a 18 anni sia sul territorio sia in ospedale, senza differenze legate alla Regione in cui si nasce e si vive, come già avviene in altri Paesi europei come Francia, Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Svezia», come spiega Giovanni Corsello, Professore Ordinario di Pediatria Università Palermo.

Come funziona il pediatra all’estero

Oggi in Europa l’età in cui ci si può avvalere ancora dell’assistenza del pediatra varia tra i 16 e i 18 anni. In particolare in Finlandia, Germania e Spagna a 16 anni, in Svizzera e Turchia a 17, mentre si arriva già a 18 anni in Paesi come Francia, Gran Bretagna, Olanda Polonia e Svezia. «In Italia, invece, l’età è fissata a 14 anni, quando l’adolescente è nel pieno delle modificazioni puberali e delle sue dinamiche evolutive», spiega ancora Corsello. Un’età delicata, dunque, dove diventa ancora più importante avere un punto di riferimento chiaro e fisso: «L’adolescente è un soggetto in transizione, non ancora adulto, spesso orfano dal punto di vista assistenziale e delle risposte ai suoi bisogni di salute», aggiunge l’esperto della Sip, la Società italiana di pediatria.

Pronto Soccorso pediatrici: regione che vai, assistenza che trovi

La situazione non è migliore se si prendono in considerazione i Pronto Soccorso. In questo caso a pesare sono differenze su base regionale: «Se in Sicilia, Sardegna, Molise, dopo i 14 anni gli adolescenti in linea di massima finiscono nei reparti degli adulti, in Lombardia e Trentino-Alto Adige ciò avviene dopo i 15 anni; in Toscana dopo i 16; in Basilicata si è accolti nei reparti pediatrici sino a 17 anni, in Abruzzo e Veneto sino a 18. Nelle altre regioni l’età varia tra 14, 16, 18 anni a seconda degli ospedali. Così in Campania il limite è 14 anni, con l’eccezione di Benevento dove è 18 anni; in Liguria dopo 16 anni si va nei reparti per adulti, ma a Savona ciò avviene già dopo i 15. Unica eccezione in questo panorama variegato sono gli adolescenti con patologie croniche, che in linea di massima hanno diritto alle cure ospedaliere pediatriche sino alla maggiore età», spiega ancora Corsello.

«Non è accettabile che il diritto alle cure pediatriche dipenda dalla regione in cui si nasce e si vive – spiega la Presidente della Sip, Annamaria Staiano – Noi Pediatri difendiamo la specificità pediatrica, ossia il diritto di bambini e adolescenti a poter essere curati in ambienti a loro dedicati e da personale specificatamente formato per l’età evolutiva, un diritto che deve valere su tutto il territorio nazionale come avviene in altri Paesi europei». «La situazione attuale – osserva Staiano – finisce invece per penalizzare i ragazzi, disorientare le famiglie e creare ingiuste discriminazioni legate alla regione in cui si vive».

Bambini e adulti in corsia insieme

Un altro grosso problema, poi, è rappresentato dai ricoveri in età pediatrica e dalla insufficienza di terapie intensive per i più giovani. Come spiegano gli esperti della Sip, al momento non esiste una legge nazionale che definisca fino a quale età gli adolescenti abbiano diritto a essere curati nei reparti pediatrici. Il risultato è che non solo si assiste alle differenze regionali che ci sono per i Pronto Soccorso, ma spesso la situazione varia persino all’interno della stessa Regione, «con la conseguenza che oltre il 25% dei bambini tra 0-17 anni viene ricoverato in reparti per adulti e circa l’85% dei degenti tra 15 e 17 anni è gestito in condizioni di promiscuità con pazienti adulti e anziani e da personale non specializzato nell’assistenza ai soggetti in età evolutiva».

Mancano terapie intensive per bambini e ragazzi

Per quanto riguarda le terapie intensive, invece, «quelle pediatriche nel nostro Paese sono poche, mediamente di piccole dimensioni, distribuite in modo non omogeneo sul territorio nazionale. Per tale ragione moltissimi pazienti in età pediatrica sono ricoverati in reparti con scarsa esperienza specifica. Nel nostro Paese peraltro non esiste una modalità certa e riconosciuta per identificare i reparti di terapia intensiva pediatrica, perché manca il codice identificativo della disciplina, che esiste per tutte le altre branche della medicina», spiega ancora Staiano.

Può sembrare un discorso teorico o burocratico, ma le conseguenze pratiche sono molto concrete e pesano sulla pelle di bambini e ragazzi ricoverati in condizioni critiche: «Secondo i nostri calcoli, che sono necessariamente approssimativi vista la situazione, le terapie intensive pediatriche sono appena 26 in tutta Italia, con 202 posti letto per una media di 3 posti letto per 1 milione di abitanti, ben al di sotto della media europea pari a 8», aggiunge Staiano concludendo: «La conseguenza è concreta, perché solo offrendo unità di terapia intensiva dedicate si possono migliorare le prognosi nei bambini rispetto a ricoveri in aree per adulti. Questo perché solo così si possono tarare le terapie sui bambini, con maggiore specificità non solo dei device, ma anche delle competenze specialistiche».