Il fenomeno è enorme, è un’emergenza mondiale, ma non se ne parla. Sulla pedofilia regna un tabù, come accadeva anni fa sui femminicidi. Non parlarne per negarne l’esistenza. Eppure esiste, anzi questo reato ripugnante ha assunto dimensioni e ramificazioni spaventose grazie al deep web, un’autostrada putrida che mette in contatto tutti i Paesi del mondo e che si è potenziata con il lockdown. Tra il primo marzo e il 15 aprile 2020 in Italia sono raddoppiate le denunce relative alla pedopornografia online rispetto allo stesso periodo del 2019. Ma a fronte di poco più di 300 segnalazioni, ci sono migliaia di casi che rimangono sepolti sotto gli strati più profondi e oscuri della Rete. A volte alcuni emergono in superficie, come l’inchiesta “Luna Park” di pochi giorni fa, e ci spalancano lo sguardo su un mondo parallelo, dove ci si scambiano le foto di ragazzini e bambini di sei mesi, perfino di neonati. Un teatro dell’orrore dove non mancano come protagonisti anche gli animali e dove si commettono le torture più efferate, condivise da gruppi che richiedono ogni giorno agli affiliati prove di reati inediti per poter continuare a farvi parte.
L’inchiesta “Luna Park”
L’inchiesta è sconvolgente: 55mila file sequestrati, 159 gruppi su Telegram e Whatsapp chiusi, 11mila utenti segnalati, 432 identificati con nome e cognome. Molti sono italiani (81), insospettabili, dallo studente 18enne all’ottico di 71 anni. Un successo dal punto di vista investigativo, che proietta l’inchiesta della Polizia Postale di Milano e del Cncp (Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia online) tra le più importanti degli ultimi anni. Ma è una goccia nell’oceano. «Ogni fascicolo che riguarda questa materia piange. Ogni foglio trasuda violenza e ci racconta di vite spezzate. Un poliziotto navigato mi ha detto che dopo tanti anni, le immagini riesce a guardarle, ma l’audio non può ascoltarlo». È una donna a capo di questa inchiesta, il procuratore Letizia Mannella. Coordina il pool dedicato proprio ai “soggetti deboli” e denuncia una carenza di informazione su questo tema. «Tutti dobbiamo sapere che chiunque può crearsi un falso profilo su Instagram o Whatsapp e adescare bambini. Chiunque, di qualsiasi età e classe sociale, può nascondersi dietro a un nickname, persone insospettabili di giorno e lupi sadici di notte. Ogni giorno in tutto il mondo vengono caricate centinaia di migliaia di foto e video da predatori e criminali. Ma oggi gli strumenti per intercettarli sono potenti, chiunque è rintracciabile. I criminali devono saperlo». Il problema è l’enormità del fenomeno e la scarsità delle risorse.
Manca una legge che obblighi i provider a denunciare
Negli ultimi anni, la sforbiciata alle spese dello Stato ha tagliato anche il personale della polizia. «Molti agenti specializzati sono finiti a fare un altro lavoro, vanificando gli sforzi di anni. Perché ci vogliono anni di indagini per smantellare una rete di pedofili». L’Associazione Prometeo, che da 20 anni lotta contro la pedofilia, denuncia una situazione molto grave, dove il successo di un’inchiesta come “Luna Park” rappresenta solo la punta di un iceberg. Il presidente, Massimiliano Frassi, scrive libri sul tema e organizza corsi di formazione alla stessa polizia. Racconta come la maggior parte di questi reati sia consumata nel deep web, quindi fatichi ad emergere. «Oggi per le piattaforme Internet rilevare e rimuovere i contenuti pedopornografici è volontario, non obbligatorio. Il materiale che viene denunciato arriva solo da Facebook: sono molto bravi a raccoglierlo, ma questo non elimina la falla nel sistema legislativo». Per rimediare, l’Ue presenterà nel 2021 nuove norme che rendano obbligatorio per le piattaforme online “rilevare, denunciare e rimuovere” contenuti legati agli abusi sessuali su minori. Sembra impossibile, eppure oggi questo non succede. I provider, insomma, non sono obbligati a denunciare. Anche per questo il fenomeno ha assunto dimensioni spaventose. «Negli ultimi cinque anni – ha detto la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson – abbiamo visto l’Europa diventare l’epicentro mondiale del materiale relativo agli abusi sessuali su minori. Nel 2019 sono stati raccolti più di 700mila materiali di questo tipo. E ce ne sono molti che non vengono rilevati».
Genitori, occhio anche a Tik Tok!
La situazione è peggiorata durante la pandemia, con molti bambini soli a casa, on line, e molte persone deviate (anche tante donne) con più tempo a disposizione. «È aumentata l’attività da parte dei pedofili – denuncia Frassi -sempre più sofisticata nel condividere, nascondere, creare nuovi materiali e popolare social sempre diversi: come Tik Tok, la piattaforma tanto amata dai ragazzini». Ricordiamoci che per cento casi di pedofilia, un bambino solo viene rintracciato e salvato, «perché se è difficile identificare l’abusante, è quasi impossibile risalire all’abusato, a meno che il criminale non pubblichi la foto del bambino dichiarando che è stato lui l’autore delle sevizie. In questi casi, a volte si recupera l’identità dell’uno e dell’altro. L’FBI per esempio, che ha uomini e risorse, identifica il 10-15 per cento dei casi. Vuol dire che l’80 per cento dei bambini non verrà mai trovato». Solo in Italia, spariscono ogni anno più di mille piccoli, tra pedofilia e traffico d’organi. «Ma l’orrore inizia a monte: ci siamo imbattuti in una rete che faceva partorire donne povere o tossicodipendenti per poi sottrarre loro il bambino appena nato». Una mostruosità che si fatica anche solo a immaginare.
Il deep web è irraggiungibile e sfugge al controllo
La depravazione della Rete, in effetti, supera anche l’immaginazione: strato dopo strato, la Rete più profonda – non raggiungibile attraverso i più noti motori di ricerca – ospita hacker jihadisti, estremisti e pornografi: un mare vasto e impensabile ai più. Ci basti sapere che il motore di ricerca più famoso al mondo indicizza meno dell’uno per cento dei documenti presenti in Rete, che ormai sono stimati in oltre 600 miliardi, con siti che compaiono e scompaiono anche nel giro di poche ore, cambiano indirizzo e ospitano transazioni non solo per materiali pedopornografici ma per contrabbando di sigarette, droghe, armi, riciclaggio di cryptomonete sporche e documenti falsi. Insomma, nel deep web le acque sono putride con centinaia di migliaia di immagini e video caricati ogni giorno da tutto il mondo da anonimi predatori e criminali.
I pedofili sono capaci di intendere e di volere
In Italia il Cncp (Centro Nazionale per il Contrasto alla Pornografia sulla rete) istituito presso la Polizia Postale, lavora per scovare i luoghi virtuali dove si scambiano immagini e filmati di minori abusati. «È una struttura molto efficiente, siamo tra i primi al mondo nel contrasto alle pedofilia online» racconta il giudice Letizia Mannella. «È di poco tempo fa il successo di un’inchiesta condotta insieme all’FBI: siamo riusciti a risalire alla piccola vittima di cinque anni di un pedofilo grazie al sacchetto di un supermercato italiano». In questo oceano, riuscire ad arrestare qualcuno appare davvero un successo, una specie di zattera di salvataggio che ci possa aiutare a cancellare l’orrore. Ma qualsiasi pena ci sembra irrisoria, non c’è punizione che tenga di fronte allo scempio della carne e del cuore dei bambini. Le leggi però sono severe e puniscono anche la semplice detenzione di materiale sul proprio computer o smartphone. L’avvocato penalista Marco Micheli ci spiega che «in Italia la pornografia minorile viene punita fino a un massimo di 12 anni e oggi si punisce anche la semplice detenzione e cessione di materiale pedopornografico. Pene maggiori, anche fino a 25 anni, sono previste per chi contatta i bambini e commette abusi». Quella della pedofilia è una gravissima devianza. Ma, come sottolinea la giudice che ha guidato l’ultima inchiesta, «non esclude la capacità di intendere e volere».
Basta definirli pedofili: sono pedomani
I pedofili sono deviati ma restano lucidi. La maggior parte sono “occasionali”, nel senso che colgono l’occasione per dare sfogo alla loro aggressività. «Molti sono gli stessi che prima andavano in Thailandia a comprare i bambini. Non potendo più spostarsi, liberano la propria perversione online, dove si sentono protetti dall’agire dietro al computer». Vincenzo Maria Mastronardi i pedofili li conosce bene. È psichiatra forense, criminologo clinico e docente di Teoria della devianza e criminogenesi all’Università degli studi internazionali di Roma. Ha scritto parecchi libri sul tema ed è suo il termine che ha fatto scuola: pedomani. «Sono persone immature con grandi incapacità relazionali, quindi scelgono i bambini che poi esibiscono come trofeo, con foto e video, per gratificare se stessi e coprire le proprie mancanze. Ma non sono dei folli, sono capaci di atti di volontà e con un’apparenza normale». La maggior parte di loro vive in mezzo a noi, per questo le nostre antenne devono restare alzate. «E i genitori hanno il dovere di sorvegliare whatsapp, i messaggi strani, farsi mostrare i contatti dei figli e cercare di capire se si tratta di persone vere. Bisogna osservare il comportamento dei ragazzi e comunque regalare lo smartphone il più tardi possibile» consiglia Frassi di Prometeo.
Non possiamo più fare finta di niente
Ci regala un po’ di ottimismo la prospettiva – annunciata dalla Commissione Europea – di un nuovo centro europeo per prevenire l’abuso sessuale sui minori. Però nessuna struttura, nessuna legge potrà sostituire l’ascolto e il dialogo con i propri figli. Quello che serve è un antidoto culturale che sfondi il silenzio e apra gli occhi di genitori, insegnanti ed educatori. «Conoscere il fenomeno può essere il miglior salvagente. I ragazzi che ricevono una buona educazione affettiva sono più sicuri psicologicamente e capaci di affrontare situazioni potenzialmente pericolose come le relazioni online con sconosciuti» dice il professor Mastronardi. Ma affrontare la realtà e parlarne è essenziale anche per gli adulti, come sottolinea la giudice: «È nostro dovere sapere noi per primi a quali rischi i nostri figli vanno incontro, non fare finta di niente e non pensare che capiti sempre agli sconosciuti. Quella della pedofilia online è una realtà con cui dobbiamo convivere».