Pedopornografia sul web, un fenomeno in crescita. Lo ha denunciato, nella sua relazione al Parlamento, Antonello Soro, Garante per la privacy. Soro ha riportato cifre choc: nel 2016 sono state censite due milioni di immagini a contenuto pedopornografico, quasi il doppio rispetto all’anno precedente.
«Dati in crescita vertiginosa nel “dark web” – ha riferito Soro -. Ma la fonte involontaria di questo materiale sono i social network, in cui genitori postano le immagini dei figli».
Intanto: che cos’è il dark web?
«È quella zona di internet al cui accesso non sono abilitati tutti ma in cui si trova di tutto. È un mercato che occupa una rete parallela, ove si riforniscono e terroristi e criminali, centro di attività illegali dove anche i pedofili trovano e si scambiano i loro materiali illeciti, banditi del web che possono operare sotto copertura e in completo anonimato» ci spiega Maurizio Mensi, docente di diritto dell’informazione all’Università Luiss di Roma, ora a Bruxelles al Servizio giuridico della Commissione europea.
Come è possibile che foto innocenti che noi genitori postiamo sui social diventino poi materiale a uso pedopornografico?
Ci spiega il professore: «Se tengo ai miei figli, non devo pubblicare nulla sui social che li riguardi. Nulla. La foto è un elemento che identifica un minore e proprio per questo, in Italia, abbiamo delle norme protettive rigorose per evitare che le immagini dei bambini (e i dati che a loro si riferiscono) finiscano sui media alla mercé di tutti. I minori non devono essere identificati, salvo in particolari casi e con talune eccezioni. È una forma di protezione nei loro confronti, per uno sviluppo sereno della loro personalità. Detto questo, perché è meglio non mettere su Instagram o su Facebook le foto dei nostri bambini? Perché un pedofilo potrebbe facilmente impossessarsene per poi utilizzare questo materiale per adescarli o per “spacciarsi” lui stesso minore al fine di attirare altri ragazzini nella sua trappola».
Il consiglio del giurista è quello di evitare di pubblicare online le foto dei propri ragazzi.
In Francia, la legge ha addirittura previsto delle multe verso quei genitori che lo fanno, proprio per tutelare l’immagine dei bambini coinvolti, che un domani potrebbero non riconoscersi in quegli scatti diventati pubblici (o non averne voluto la diffusione).
«Quando si attiva un profilo social si “firma” un contratto con quel social e gli si cede ogni diritto sul materiale pubblicato. Facebook, Instagram, Snapchat ottengono in tal modo una licenza all’uso di quelle foto e dei dati collegati, a loro piacimento. Molti genitori inoltre hanno profili facebook “aperti”, senza una protezione minima sulla privacy, per cui le loro foto sono accessibili a tutti e tutti le possono copiare. Di nuovo, un problema per la tutela dei più piccoli. Ponetevi questa regola: niente foto online dei vostri figli, dormirete sonni più tranquilli».
E il marketing selvaggio?
Nella sua relazione, il Garante ha anche denunciato che continua il fenomeno del “telemarketing selvaggio”, call center che chiamano per promozioni, offerte esclusive, allacciamenti elettrici e rete gas. Numeri di telefono privati risucchiati dalla rete: basta lasciarlo inavvertitamente online e il gioco è fatto. Si è subissati di chiamate a ogni ora del giorno: finanche alle 21.30, come è capitato a chi scrive. «Da febbraio 2011 alla fine del 2016 – ha fatto sapere Soro – sono arrivate 25.000 segnalazioni per violazione del Registro pubblico delle opposizioni, ovvero persone che si sono iscritte al registro (attivo dal 2010) di chi non voleva ricevere proposte pubblicitarie e, nonostante questo, sono state raggiunte da offerte aziendali».
Sono arrivate anche le sanzioni: 2,6 milioni di euro a quelle aziende che ci prendono per sfinimento con le loro “grandi occasioni irrinunciabili”.
«Il principio è che nessuno deve permettersi di chiamarci e offrirci cose, men che meno quando abbiamo negato il nostro consenso» ricorda il professor Mensi. «Le aziende lo sanno benissimo, eppure giocano sull’equivoco. Raccolgono i nostri dati per lo più a nostra insaputa, ci bersagliano di mail e chiamate. Noi consumatori dovremmo segnalare ogni violazione al Garante per la privacy, ma la cosa di rado avviene. E se anche lo facciamo, non sempre il Garante riesce a intervenire in modo capillare, perché non ha le risorse e le strutture per un controllo mirato. Occorre essere prudenti e valutare bene prima di lasciare i nostri contatti mail o il cellulare, magari anche solo per ottenere la fidelity card del nostro supermercato o nel momento in cui compiliamo moduli online per partecipare a concorsi su internet. I nostri dati sono una merce troppo preziosa per affidarla a chiunque con disinvoltura».