45 milioni di foto e video che ritraggono minori abusati sono stati scambiati su internet nel 2018, più del doppio dell’anno precedente. Il numero, allucinante, arriva dal National Center for Missing and Exploited Children ed è riportato dalla recente inchiesta del New York Times sulla pedopornografia online. Che rileva anche come, nel 1998, le denunce per materiale di questo tipo non erano più di 1000, dieci anni dopo, nel 2008, erano già diventate 100.000, mentre nel 2014 hanno superato il milione per la prima volta. Nel 2018 le segnalazioni sono state 18,4 milioni, grazie alle quali quei 45 milioni di foto e video sono arrivati alle autorità di competenza.
Si tratta di materiale estremamente esplicito, la cui brutalità ha sorpreso i reporter del Nyt che hanno lavorato all’inchiesta basandosi su oltre 10.000 pagine di documenti di polizia e giudiziari, studiando la rintracciabilità delle immagini sui motori di ricerca e avvalendosi della testimonianza di investigatori, legislatori, dirigenti tecnici e funzionari governativi. Il report include anche alcune conversazioni con un pedofilo dichiarato che ha nascosto la sua identità usando un software di crittografia e che gestisce un sito dove trovano posto più di 17.000 immagini di questo tipo. Sono state ascoltate anche molte vittime di abusi, che in forma anonima hanno raccontato l’impatto che i traumi vissuti – e il fatto che fossero registrati da foto e video sparse su internet, difficilissimi da intercettare e stoppare – hanno avuto sulle loro vite da adulti.
Il quadro è desolante, ma come si giustifica un aumento così esponenziale? Una delle cause è da ricercare nell’avanzare delle nuove tecnologie, che hanno reso lo scambio di materiale di questo tipo, per lungo tempo relegato a quel dark web dove relativamente in pochi sapevano accedere, a piattaforme ben più aperte e semplici da utilizzare, come Facebook Messenger, Tumblr, Bing o Dropbox. Sul solo Messenger sono avvenute, secondo il report, 12 milioni delle segnalazioni del 2018. Scrive il Nyt: «Seguendo una tendenza particolarmente inquietante, i gruppi online oggi condividono immagini di bambini sempre più piccoli e forme di abuso sempre più estreme. Questi gruppi utilizzano tecnologie crittografate e il dark web per insegnare ai pedofili come compiere i loro crimini e come registrare e condividere immagini degli abusi in tutto il mondo. In alcuni forum online, i bambini sono costretti a reggere cartelli con il nome del gruppo o altre informazioni identificative per dimostrare che le immagini sono recenti».
Come è possibile una simile impunità? I giganti del tech sono ben consapevoli del problema, e lo sono dagli albori di internet: non hanno però agito a tempo debito per arginare il fenomeno. Il problema principale è la crittografia di molte delle app e delle piattaforme social che utilizziamo quotidianamente: protegge la nostra privacy e permette di scambiarci messaggi “in sicurezza”, ma protegge anche quella di chi diffonde materiale pedopornogafico. Qualcosa di molto simile succede online con i discorsi che incitano all’odio (il cosiddetto “hate speech”) o il revenge porn: è difficile arginarli, e quindi prolificano. Perché i social hanno molte qualità, ma ci sono tantissime persone che li utilizzano in maniera sbagliata o criminale. D’altra parte è la sfida del futuro, quella di risolvere questi lati oscuri delle nuove tecnologie: abbiamo creato un mondo di possibilità infinite, alcune delle quali terrificanti.