Che significato ha oggi il matrimonio? Forse è da questa domanda che dobbiamo iniziare quando parliamo del fatto che le nozze e la possibilità di avere dei figli sono sempre meno una priorità per i giovani. Infatti, secondo i dati dell’Osservatorio Generationship 2024 – a cura di Kkienn Connecting People and Companies per il Gruppo Unipol – per 1 giovane su 2 i fiori d’arancio non contano più della carriera e lavoro.

Ora, premesso che i risultati del sondaggio socioculturale, svolto su un campione di 1000 persone di età compresa tra i 16 e i 35 anni, ci danno solo un assaggio di un clima generale. E che chiaramente, dovremmo sempre valutare caso per caso, i numeri ci permettono comunque di fare delle riflessioni.

Matrimonio, alle origini del significato

L’etimologia della parola matrimonio è latina. Il termine deriva infatti dall’unione di mater, madre, e il sostantivo munus che significa “dovere, compito”. Dunque, è evidente che per i latini l’unione fra un uomo e una donna avesse a che fare con l’esigenza di procreare e che proprio quest’ultima fosse la realizzazione del “compito della madre” da parte di una donna. Nel tempo, abbiamo iniziato a intendere questa parola come l’unione di due individui che si impegnano di fronte a un’autorità civile o ecclesiastica e anche come sacramento religioso.

Partire dalle parole, dalle definizioni, non è un puro esercizio di stile. Direi piuttosto che è necessario per provare a capire a fondo perché i giovani della Gen Z e i Millennial, il campione della ricerca Osservatorio Generationship 2024, non si sposano più. Perché se in tempi di grandi incertezze economiche e politiche, è comprensibile che studiare (82%), fare carriera (84%), avere un futuro sicuro (81%) e risparmiare (79%) siano delle priorità, d’altrocanto non credo che siano sufficienti a giustificare l’allergia dei fiori d’arancio. Non è che mentre per inerzia continuavamo a sposarci e fare figli, perché così si è sempre fatto, non ci siamo mai domandati che significato avessero determinate fasi della vita per noi e all’interno della società che abitiamo?

Perché i giovani non si sposano più?

Da quando sul mio anulare sinistro c’è un anello in più e dedico il mio tempo libero alla ricerca di fornitori per il mio matrimonio, io, anagraficamente Gen Z, mi sono chiesta spesso che cosa significhino per me le nozze. Poi, visto che certe cose si fanno in due, l’ho chiesto anche al mio futuro marito, un millennial. Entrambi ci siamo dati la stessa risposta. Sebbene il nostro stato civile cambierà, la fede al dito non intaccherà ciò che siamo individualmente, a mutare sarà invece lo stato della nostra relazione. Tradotto: continueremo ad essere una coppia che condivide oneri e onori, ma avremo dei diritti in più. Quindi, mi sembra chiaro che siamo molto lontani dal senso originario della parola matrimonio.

Probabilmente esistono molte altre coppie che intendono le nozze come noi, ma tornando ai dati che ci dicono che i giovani non vogliono sposarsi, non posso fare a meno di pensare ai modelli che abbiamo avuto. Ammettiamo pure di essere stati individui fortunati, cresciuti da genitori che si amano e rispettano. Per quanto il loro matrimonio possa essere felice, è possibile che uno dei due abbia sacrificato più dell’altro. E probabilmente sarà proprio nostra madre, in quanto donna, ad averlo fatto. Ora però, la società ha continuato a evolversi e ha detto alle giovani donne che qualunque cosa vogliano fare possono farla, che hanno libertà di scelta, che possono realizzarsi e potrebbero persino avere del potere. Ma sfortunatamente mentre diceva loro questo, non si è preoccupata di rassicurarle che non avrebbero dovuto scegliere tra carriera e famiglia. Il punto sta tutto qui.

Il matrimonio minaccia ancora la libertà femminile?

Senza dubbio ci sono dei giovani che non vogliono sposarsi perché il matrimonio non gli interessa, magari lo considerano anche qualcosa di antiquato, un contratto vetusto che non vogliono firmare. Ma dobbiamo considerare la possibilità che la vita matrimoniale per come l’hanno conosciuta sia un abito non a loro misura. Ciò non toglie però che potrebbe diventarlo, a patto che l’esperienza delle nozze e della genitorialità venga vissuta e raccontata in modo diverso.

Perché mai le giovani donne dovrebbero rischiare di perdere la possibilità di realizzarsi professionalmente o caricarsi delle aspettative che il ruolo di moglie/madre getterà su di loro? È forse un mistero che la maternità penalizza ancora le carriere femminili? Lavoro di cura e carico domestico non pesano ancora soprattutto sulle donne? Ecco quando parliamo di giovani che non si sposano più, non possiamo non tenere conto di tutto questo. Ma riflettere non basta, bisogna prenderne atto e agire. Prima dell’ennesimo annuncio sulla crisi demografica, la politica dovrebbe domandarsi se sta facendo abbastanza per i giovani, per metterli nella condizione di immaginare un avvenire un po’ meno incerto e precario. Gli uomini che abbracciano le rivendicazioni femminili, si mettano in testa che se vogliono essere nostri alleati ci sono oneri e doveri da ridistribuire.

I giovani che si sposano compiono una rivoluzione

Qualche tempo fa, una persona mi ha detto che sposarsi è un atto rivoluzionario, soprattutto se a compierlo è un giovane. Al di là di ogni romanticismo attribuito alle nozze, penso lo stesso. Perché? Ogni giovane coppia che sceglie il matrimonio ha l’occasione di riscrivere le regole non scritte che abbiamo interiorizzato. Ha la possibilità di dare vita a un nuovo modo di stare insieme e condividere la vita, in cui a sopperire non siano le donne.

Per quanto la strada sarà in salita, le mogli di domani forse potranno essere delle donne che spostano sempre più avanti l’asticella del sacrificio e non dovranno fare i salti mortali per essere la brava moglie ai fornelli, la madre amorevole che sforna i biscotti. Se vorranno potranno essere anche questo, ma con la tranquillità di non dover fare tutto da sole. Non dobbiamo dimenticare che la crisi ci offre la possibilità di dare un nuovo significato a concetti e parole che già conosciamo. Inoltre, probabilmente il modo migliore per cambiare un’istituzione è abitarla.