«Ti faccio un trillo su MSN». Frugando nella memoria, è il primo ricordo della mia relazione con i social network. Ero alla scuola media, a dirlo erano più i miei compagni che io, che per indole preferivo farmi i fatti miei. Il riferimento era a quel suono che ti scuoteva un po’ quando lo ricevevi dal tuo pc. Era il segno che qualcuno reclamava la tua attenzione su MSN, app di messaggistica istantanea di Microsoft poi rimpiazzata nel 2012 da Skype e da non confondere con l’attuale Messenger di Facebook. Per molti di noi Gen Z – nati tra la metà degli anni ’90 e il 2010 – questa applicazione che non vedevamo l’ora di aprire di ritorno da scuola, è stata l’inizio di un nuovo mondo. Di una nuova modalità di relazionarci: più divertente e immediata. La storia, poi, è andata avanti. C’era la bacheca di Facebook da controllare, le prime foto su Instagram da condividere e i filtri di Snapchat da provare. Infine, alcuni hanno amato Musical.ly, antenata di TikTok, poi sostituita proprio da quest’ultima. Eppure dopo tanto entusiasmo, l’idillio d’amore sembra essersi rotto, perché la Gen Z fugge dai social o perlomeno ci prova.
Questa fuga dai social non è un detox
«Non è curioso che la nostra generazione che per prima ha accolto con entusiasmo i social network sia anche la prima a prenderne le distanze?» mi dice un’amica di lunga data durante una cena prenatalizia. L’occasione gioviale mi impedisce di dare troppo peso alla domanda. Ma l’interrogativo continua a rimbalzare nella mente. Anche mentre scrollando su TikTok analizzo i propositi più o meno sostenibili degli utenti che partecipano all’ennesima challenge: 75 giorni per migliorare la tua vita e diventare la migliore versione di te stessa nel 2025. Attività fisica regolare, alimentazione sana e limitare l’utilizzo del telefono appena svegli o prima di coricarsi sono gli obiettivi più diffusi. Niente di nuovo sotto al sole, ma la mia amica non intendeva la fuga della Gen Z dai social come un detox.
Dimostrarlo è facile. La prima regola di app come Instagram o Facebook è che se non posti non esisti. Ecco, sulla base di questa legge non scritta, da mesi certi miei amici o conoscenti, ma anche io stessa, potremmo non essere parte del globo. Anche se le nostre vite sono belle, incasinate, a volte complicate. Questa assenza dal mondo digitale non è connessa a un utilizzo più limitato dei social, perché la Gen Z continua a utilizzarli. L’apparente fuga ha a che fare piuttosto con una percezione mutata dell’utilità di alcune app nella nostra vita. È come se ci fossimo accorti che Facebook, Instagram o TikTok mentre si mangiano il nostro tempo e la nostra soglia di attenzione, in cambio non ci danno abbastanza. In effetti, quanto ricordi dell’ultima sessione di scrolling?
Come usa i social la Gen Z?
Come dicevo, la Gen Z ha semplicemente mutato il suo modo di stare sui social network. Me lo conferma la mia bolla di persone: un campione ristretto ma comunque indicativo di comportamenti diversi. A uscirne sconfitto è Facebook, un’applicazione che io e i miei coetanei utilizziamo sempre meno, per non dire mai. Instagram continua ad andare forte, ma non mancano gli affezionati di TikTok che oltre ad essere un’inesauribile fonte di intrattenimento, sta diventando anche una sorta di motore di ricerca. Puoi trovarci davvero di tutto e se sei abbastanza fortunata il tuo algoritmo ti proporrà anche un video inusuale che diventerà il tuo nuovo guilty pleasure: il mio sono le interviste d’epoca.
Lavoro, intrattenimento, informazione sono gli scopi principali per cui la Gen Z usa i social. Anche chi timoroso e con un po’ di vergogna ammette di leggere notizie di cronaca e attualità su Instagram, non può non riconoscere a questa applicazione un vantaggio di immediatezza quasi imbattibile: l’algoritmo lavora per te selezionando a monte ciò che devi sapere. E poi permette di restare in contatto con la propria cerchia: si guardano le storie, ci si scambia qualche video divertente. Tuttavia c’è chi ribatte così: «Vedere che cosa ha mangiato il mio ex compagno di classe mi frega il giusto».
Quindi, Instagram lo apriamo un po’ per inerzia e guardare le esistenze altrui non ci piace poi così tanto: sembra tutto già visto, come un copione che si ripete all’infinito. E le nostre vite? Le condividiamo spesso con parsimonia, per riservatezza o perché di sottoporci al giudizio altrui non ci va. Ma non vale per tutti, alcuni di noi amano curare il loro profilo e aggiornarlo di tanto in tanto, come se fosse un diario intimo e minimale.
Gen Z e social network: odi et amo
Come riassumere quindi la relazione tra Gen Z e social network? È un rapporto il più delle volte conflittuale. Molti vorrebbero spenderci molto meno tempo e non hanno più voglia di condividere frammenti della loro vita. Allo stesso tempo c’è la coscienza che indietro non si può tornare. Per esempio non potremmo mai eliminare Instagram: per lavoro non possiamo farne a meno. Ma indubbiamente la Gen Z ha acquisito una grande consapevolezza rispetto all’utilizzo dei social: sa bene cosa gli piace e cosa no. Svagare la mente guardando recensioni cinematografiche, tutorial per tagliare i propri capelli o idee da replicare con l’uncinetto, così come video ironici di alcuni content creator rientrano nella prima categoria. L’estrema accessibilità delle app, i contenuti disponibili in ogni momento per tutti e l’intrattenimento becero nella seconda.
Qualcuno, me compresa, trova che la lettura dei commenti sia un’incredibile fonte di ricerca antropologica anche se i leoni da tastiera non ci piacciono. Ma nessuno è perfetto e spesso nel vortice di reel in cui ci capita di cadere, sappiamo che dovremmo uscirne il prima possibile e usare meglio il nostro tempo, ma la pratica è più complessa della teoria. A sorpresa (almeno per me) stiamo riscoprendo YouTube: a qualcuno piace fermarsi e dedicarsi alla visione di un video dal contenuto arricchente. Direi che la chiave sta tutta qui. Senza voler fare i passatisti del “si stava meglio quando si stava peggio”, sembra che la Gen Z non fugga dai social ma solo dai contenuti che giudica dannosi per sè o inutili e in questo senso si dedica volentieri alla scrematura. È invece attratta dalla qualità perché, nonostante uno scenario globale desolante, è ancora curiosa del mondo. Sarà che ci stiamo educando al mondo digitale da autodidatti? Ai posteri l’ardua sentenza.