Si tornerà a scuola entro giugno o si ripartirà a settembre-ottobre? Il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, si è detto propenso a una riapertura delle classi in autunno, lasciando però l’ultima parola al ministero dell’Istruzione. Si fa largo l’ipotesi di un prolungamento della didattica a distanza a causa del coronavirus anche all’inizio del prossimo anno scolastico, ma non sono esclusi né lo sdoppiamento delle classi né lezioni pomeridiane o al sabato, per evitare l’affollamento.
Ma come si sono organizzati all’estero, dove in alcuni casi si è già tornati in aula?
In Francia a scuola dall’11 maggio
Il governo di Parigi ha deciso per una ripresa graduale delle attività con una data certa: l’11 maggio. Le lezioni inizieranno in modo differenziato: «L’attuale situazione aumenta le disuguaglianze. Troppi bambini, soprattutto nei quartieri popolari e in campagna, sono privati della scuola senza avere accesso al digitale e non possono essere aiutati allo stesso modo dai genitori» ha spiegato il presidente francese, Emmanuel Macron. Per tutti, studenti compresi, sarà obbligatoria la mascherina.
L’esempio della Spagna
La Spagna, che ha un numero di contagi e diffusione della pandemia simili ai nostri, ha intenzione di riaprire le scuole entro fine maggio e in modo differenziato a seconda delle zone di diffusione del coronavirus.
Danimarca, a lezione distanziati e all’aperto
I bambini e ragazzi danesi sono in parte già tornati a scuola e tutti riprenderanno entro il 20 aprile, con nuove modalità: distanziamento in aula, con almeno due metri tra un banco e l’altro, e un solo alunno per postazione. Durante la ricreazione è previsto il lavaggio delle mani in modo scaglionato e le autorità hanno autorizzato lezioni all’aperto, compatibilmente col meteo, per ridurre il tempo trascorso all’interno delle aule. L’obiettivo è mettere i genitori in condizioni di tornare al lavoro, per cui è indispensabile che i bambini (specie se piccoli) non siano più a casa.
In Norvegia già sui banchi. In Germania a scaglioni
Decisione in parte simile, ma con priorità agli studenti più grandi, in Germania dove il rientro – secondo le bozze circolate nelle ultime ore – indica la data del 4 maggio, a scaglioni a partire dai ragazzi delle scuole superiori, medie e dell’ultimo anno della primaria. In Norvegia, invece, asili nido e scuole primarie sono già aperti dal 15 aprile.
Quando riapriranno le scuole in Italia?
L’Italia non seguirà queste strade: non è stata indicata ancora una data di rientro e rimane lo spartiacque del 18 maggio entro cui decidere le modalità degli esami di maturità e di terza media. Non è neppure chiaro con quali modalità si riprenderanno le lezioni in autunno. «Di fronte a un’epidemia con oltre 21mila vittime come in Italia non è possibile affrontare la questione della riapertura delle scuole con leggerezza, perché sono luoghi di aggregazione affollati e veicolo di diffusione del virus. A rischio non sono tanto i bambini e i ragazzi, quanto i loro genitori e soprattutto i nonni a cui potrebbero trasmetterlo, alimentando nuovi focolai. Chi all’estero ha annunciato le riaperture fino a qualche settimana fa aveva detto che avrebbe adottato misure di contenimento del contagio, salvo fare dietrofront precipitosamente. Io inviterei alla cautela» premette il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli.
In aula con mascherine e distanziamento: improponibile
Quanto alle modalità con cui tornare in classe, Giannelli non nasconde perplessità: «Secondo me le mascherine a scuola, come si pensa di fare in Francia, sono improponibili, specie su bambini di 6, 7 o 8 anni. Lo stesso vale per il distanziamento: un conto è adottarlo tra adulti in un ambiente di lavoro, un altro è immaginarlo in una classe, dove gli alunni sono gomito a gomito e le scuole italiane non hanno spazi idonei a permettere di avere banchi singoli a due metri l’uno dall’altro».
In coda per entrare e uscire da scuola: inimmaginabile
Un altro aspetto è quello dell’accesso alle scuole: «Già oggi per entrare nei supermercati mantenendo le distanze occorre mettersi in coda: come si può immaginare un ingresso ordinato e distanziato a scuola con 100, 200 o 300 bambini e ragazzi, magari sotto la pioggia? Alla fine delle lezioni, invece, si dovrebbero immaginare uscite differenziate per classi, scandite da una campanella che suonerebbe ogni 5 minuti e con lunghe file di 20/25 alunni aperte da una maestra che non riuscirebbe a vigilare sugli ultimi della coda, se si dovesse rispettare la distanza di 1 metro tra un bambino e l’altro» spiega Giannelli. Anche l’idea di lezioni all’aperto non è contemplata, anche per motivi contrattuali e di sicurezza.
In Italia, priorità alla produzione e ai lavoratori non tutelati
Di fronte a problemi analoghi con le mense affollate di alunni o con gli scuolabus e pulmini, che non potrebbero più trasportare lo stesso numero di studenti, come si potrebbe immaginare la reale ripresa delle lezioni? Dovremo proseguire con la didattica a distanza fino alla fine del rischio contagio? «Io sono favorevole alla ripresa non appena ci saranno le condizioni, ma oggi è impossibile fare previsioni. Attenzione: la didattica a distanza non può sostituire quella in presenza, ma adesso è una necessità imposta dalle condizioni» dice Giannelli. «È sempre difficile scegliere, si tratta di capire quale rubinetto aprire: in questo momento si sta dando priorità alle attività produttive, industriali e artigianali, che impiegano lavoratori soprattutto autonomi, mentre il personale del settore scuola è già tutelato» spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo e ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità.
La scuola produce ricchezza?
«L’economia produce ricchezza per il prossimo mese e oggi c’è bisogno di una ripartenza del settore produttivo il prima possibile; la scuola, invece, produce una ricchezza diversa, sul lungo periodo, nell’arco di 10 o 15 anni. Occorrono sicuramente più investimenti nella scuola, perché più c’è cultura, più una società progredisce. Ma adesso c’è un problema economico urgente da affrontare» conclude il presidente dell’Associazione Nazionale dei Presidi. «Non si tratta di sacrificare la scuola o gli studenti – conclude Giannelli – ma di essere consapevoli dei rischi: se dovessero scoppiare nuovi focolai, chi ne risponderebbe?».