Una tragedia umanitaria e una minaccia terroristica per tutta la regione, Europa inclusa. Sono queste le conseguenze della Baris Pinar Harekati (“sorgente di pace”), l’operazione che l’esercito turco ha avviato nel Nordest della Siria. La motivazione ufficiale del presidente Recep Tayyip Erdogan è la lotta al terrorismo. Nella pratica, però, si tratta di un intervento militare contro la minoranza curda che vive oltre il confine, di quel popolo senza terra, ma che in quella terra abita da secoli e che ha lottato fino all’ultimo proprio per proteggerla dall’avanzata dello Stato Islamico.

Vuole creare una zona cuscinettoper i profughi

Fra gli obiettivi di Erdogan c’è anche quello di creare una zona cuscinetto il più ampia possibile, nella quale inviare almeno 1 milione di profughi degli oltre 3 che la Turchia ha accolto dall’inizio della guerra civile siriana e che hanno impattato enormemente sull’economia e sulla sicurezza interna di Ankara. Erdogan, che meditava l’invasione da tempo, ha agito dopo il sostanziale via libera del presidente Usa Donald Trump.

E di fronte alle (finora timide) proteste europee ha reagito minacciando la Ue di far arrivare nel vecchio continente decine di migliaia di rifugiati. Messaggi che servono soprattutto a compattare a colpi di nazionalismo il suo consenso personale, eroso dalla grave crisi economica che attanaglia il Paese da mesi e ha impoverito il ceto medio.

Punta a liberare i miliziani dell’Isis

«Il vero punto della questione è capire quanto questa operazione potrà andare avanti» spiega Berk Esen, docente di Relazioni internazionali alla Bilkent University di Ankara. «Erdogan sa bene che se Trump può mostrarsi flessibile, dall’altra parte Russia e Iran, le altre 2 potenze con interessi politici e militari nell’area, vogliono chiudere la partita siriana senza ulteriori complicazioni. Mi aspetto una penetrazione limitata massimo a 50 chilometri e il controllo di una porzione di territorio inferiore alle aspettative turche. Questo ovviamente non significa che la missione resterà senza conseguenze».

A preoccupare ci sono soprattutto i 2.500 miliziani dell’Isis che dalle mani curde, che li hanno catturati e passati agli americani, finiranno in quelle di Erdogan – più volte accusato di collaborare segretamente con il terrorismo jihadista – che potrebbe liberarli. Una mossa che complicherebbe ulteriormente il cammino verso la pacificazione della Siria e la creazione di uno Stato indipendente curdo.

Un conflitto lungo e un popolo senza stato

Dura da più di un secolo la rivalità tra i governi di Ankara e i curdi, una minoranza etnica quasi interamente musulmana divisa tra Iraq, Iran, Turchia e Siria. Gli accordi siglati alla fine della prima guerra mondiale prevedevano la nascita di un Kurdistan indipendente, ma non sono mai stati rispettati, sia per il rifiuto dei 4 Stati a cedere porzioni di territorio, sia per gli interessi economici di molti sull’area, ricca di petrolio e snodo essenziale per il traffico di merci e persone. Negli anni ’70 il partito filocurdo Pkk ha lanciato la lotta armata sul territorio turco, e Ankara ha reagito con una dura repressione. Oltre il confine, i curdi siriani controllano dal 2015 il Rojava – la regione oggi sotto attacco – dopo che il loro esercito autonomo Ypg, con l’aiuto degli Usa, l’aveva liberato del tutto dall’Isis.