Due neonate venute alla luce a qualche settimana di distanza l’una dall’altra, tra maggio e giugno, sono morte nella terapia intensiva della patologia neonatale dell’ospedale bergamasco Papa Giovanni XXIII, nell’arco di poco più di un mese. Ad uccidere le due piccole – ha reso noto l’Eco di Bergamo e la notizia si è diffusa velocemente di sito in sito – è stata la pertosse, un’altra delle malattie che sembravano sconfitte e debellate per sempre. E invece. Anche le madri delle due piccole, riporta sempre il quotidiano, sono risultate contagiate. Avevano avuto una gravidanza senza problemi, ma “nessuna delle due era vaccinata per la pertosse”, né si era sottoposta di recente a “una profilassi protettiva”.
Cos’è la pertosse e cosa la provoca
Spiegano gli esperti dell’Istituto superiore di sanità, sul portale epicentro.iss.it: “La pertosse è una malattia infettiva di origine batterica molto contagiosa, causata dal batterio Bordetella pertussis. Un altro batterio della stessa famiglia, il Bordetella parapertussis, è all’origine di una malattia simile, la parapertosse, che si manifesta però con sintomi più lievi. La pertosse viene annoverata fra le malattie infantili, come la rosolia, il morbillo (tornato a essere mortale), la varicella e la parotite e colpisce prevalentemente bambini sotto i cinque anni”.
Come si trasmette la pertosse
La trasmissione della malattia – chiamata anche “tosse dei cento giorni” – avviene solo fra esseri umani e per via aerea, probabilmente attraverso goccioline di saliva diffuse nell’aria da colpi di tosse o starnuti. “Un adeguato trattamento antibiotico permette la guarigione in una quindicina di giorni. A differenza delle altre malattie infantili – altra informazione – l’immunità conferita da una prima infezione non è definitiva, ma declina col tempo. La pertosse può colpire anche i neonati di madre immune. Sembra infatti che gli anticorpi materni, quelli che costituiscono le loro prime difese, non siano in grado di proteggerli da questa infezione.”
Sintomi, diagnosi e decorso
“Il batterio della pertosse – sempre parole degli esperti dell’Iss – causa infezioni alle vie respiratorie che possono essere inapparenti, ma anche estremamente gravi, specie quando il paziente è un neonato. La pertosse si caratterizza per una tosse persistente (per più di tre settimane). L’esordio della malattia si manifesta con una tosse lieve, accompagnata da qualche linea di febbre e da abbondanti secrezioni nasali: è la fase catarrale, che dura da una a due settimane settimane. Progressivamente la tosse diventa di massima intensità e si associa a difficoltà respiratorie: è la fase convulsiva o parossistica, che può durare più di due mesi in assenza di cure. In questo periodso si possono verificare anche casi di apnea, cianosi e vomito”.
Le complicazioni nei bambini più piccoli
“Nei bambini piccoli – continuano gli specialisti – le complicazioni più gravi sono costituite da sovrainfezioni batteriche, causa di possibili otiti, polmonite, bronchiti e affezioni neurologiche (crisi convulsive, encefaliti). I colpi di tosse sono anche in grado di provocare emorragie sottocongiuntivali e nel naso. Nel neonato e nei bambini al di sotto di un anno, la pertosse può essere molto grave, addirittura mortale”.
Diagnosi, incubazione e cure
“La conferma della diagnosi si ha principalmente isolando il batterio responsabile dell’infezione, a partire da un’aspirazione nasofaringea. Il periodo di incubazione è di circa dieci giorni. La pertosse è altamente contagiosa soprattutto nel periodo iniziale, prima dell’insorgenza della tosse parossistica. Dopo tre settimane dall’inizio della fase parossistica, nei pazienti non trattati il contagio si considera trascurabile. Invece nei pazienti trattati con antibiotici il periodo di infettività è ridotto a circa cinque giorni dall’inizio della terapia, basata su antibiotici (spesso l’eritromicina). Se presi prima della fase parossistica, i farmaci abbreviano il tempo di contagiosità e la durata della malattia, ma i sintomi non sempre vengono ridotti. Per alleviare i sintomi, vengono prescritti anche antitussivi, sedativi, antispasmodici”.
Vaccinazione e prevenzione
La pertosse rientra tra le vaccinazioni raccomandate a partire dai due mesi di età, come il morbillo e la rosolia, e tra le 10 obbligatorie per l’accesso a scuola, documentabili – per indicazione del ministero della Salute – con una semplice autocertificazione. “Il vaccino – illustrano sempre gli esperti dell’Istituto superiore di sanità – si basa su batteri interi inattivati dal calore. Viene somministrato nei bambini a partire dal compimento dell’ottava settimana di vita. A causa della perdita di immunità nel tempo, sono necessari più richiami: la prima dose, la seconda e la terza vengono fatte a sei-otto settimane di distanza, cui si aggiunge un’ultima dose di richiamo verso i due anni. Questo vaccino è molto efficace – precisano gli specialisti – ma la tolleranza non è sempre buona. Per questo sono stati messi a punto dei vaccini acellulari, in cui non compare il batterio intero, ma solo qualche proteina batterica, capace comunque di attivare il sistema immunitario. I vaccini acellulari, efficaci e meglio tollerati nei neonati, vengono consigliati per le dosi primarie e le dosi di rinforzo”.
Il vaccino non protegge per sempre
Il virologo Roberto Burioni aggiunge informazioni e suggerimenti, partendo dalla duplice tragedia di Bergamo, con un lungo post pubblicato su Facebook. “Alcuni vaccini – ricorda – proteggono per sempre, altri danno un’immunità limitata nel tempo. Questo è il caso del vaccino contro la pertosse, dove addirittura la malattia stessa non fornisce una protezione permanente. Fino agli anni 90 contro la pertosse abbiamo usato un vaccino estremamente efficace, che era però gravato di alcuni effetti collaterali rari, ma non trascurabili. Dopo quel momento siamo passati ad un vaccino detto ‘acellulare’ che è sicurissimo, ma meno potente: contenuto nell’esavalente, è efficace in quasi il 90 per cento dei vaccinati. Però l’immunità tende a svanire con il tempo; quando accade – prosegue – si è comunque protetti dalla malattia in forma grave, ma si può ospitare il microrganismo nella propria gola ed essere una fonte di infezione per gli altri”.
“I casi di pertosse stanno aumentando”
Il resto del post è di quelli destinati, di nuovo, a dividere e contrapporre. Sostiene Burioni, sempre via Fb: “A causa di questa minore efficacia del nuovo vaccino, e pure a causa delle mancate vaccinazioni, i casi di pertosse stanno aumentando. Il guaio è notevole in quanto la pertosse è pericolosissima per i bambini molto piccoli. Inoltre, siccome l’immunità contro questa infezione è sempre molto debole, le madri non riescono a trasmettere ai loro figli una quantità adeguata di anticorpi durante la gravidanza. Alla nascita i neonati saranno quindi estremamente vulnerabili. Possiamo però proteggerli ugualmente. Prima di tutto dobbiamo vaccinare la madre in gravidanza, affinché abbia anticorpi da trasmettere. Poi dobbiamo vaccinare i bambini tempestivamente e senza ritardi, in modo che quanto prima possano difendersi da soli da questa minaccia. E’opportuno che i fratelli, i parenti, il padre si sottopongano ad un richiamo del vaccino, in modo da rendere impossibile che il batterio della pertosse, dopo averli infettati, arrivi nella gola del neonato. Insomma, dobbiamo creare una ‘zona di sicurezza’ intorno al neonato”. Il cordone sanitario, conclude il virologo social, è “vanificato se il bimbo frequenta un asilo nido dove gli altri piccoli non sono vaccinati. Per questo è molto importante che tutti vengano vaccinati, in modo da non consentire la circolazione del batterio”. .
Le autorità sanitarie: nessun focolaio
L’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, in un’intervista al Tgtre regionale ha escluso la presenza di un focolaio di pertosse nelle zone di residenza delle due piccole e delle famiglie. Anche l’ospedale di Bergamo, riferisce Repubblica.it, sostiene che “non è un’emergenza né un’epidemia”. Le piccole provenivano da aree diverse della provincia, lontane tra loro decine di chilometri, e si sono ammalate a distanza di oltre un mese. La prima era stata portata dai genitori all’ospedale di Seriate, poi trasferita ad Alzano Lombardo e infine al Papa Giovanni XXIII: qui è morta il 23 giugno. La seconda, di un mese e tre giorni, era arrivata a Bergamo dopo un primo ricovero a Treviglio: ha resistito fino al 30 luglio.