“Basta ai pesci bistecca”: sono meno salutari per l’uomo e poco sostenibili per l’ambiente. Di fronte al consumo sempre più massiccio di prodotti ittici come salmoni o tonni, arriva un appello a privilegiare il pesce azzurro, quello tipico del Mediterraneo, con dimensioni più contenute e costituito soprattutto da alici, sardine, sgombri o aguglie.

Fa meglio alla salute, ma anche all’ambiente, secondo gli esperti che hanno lanciato l’invito in occasione del via a Slow Fish, manifestazione che si svolge dal 9 al 12 maggio al Porto Antico di Genova. 

I cambiamenti climatici e i suoi effetti sul mare, l’inquinamento da plastiche e microplastiche, e le conseguenze di una pesca indiscriminata rischiano, infatti, di minacciare gli equilibri marini e le sue risorse, a partire dal pesce che ogni giorno arriva sulle nostre tavole e che sempre più spesso è rappresentato dal cosiddetto “pesce bistecca”. Si tratta per lo più di tranci, con poche spine, che vengono privilegiati rispetto ai piccoli pesci tipici dei nostri mari: “L’invito è a preservare il mare, consentire alle specie che lo popolano di riprodursi secondo ritmi più naturali e possibilmente in maniera che non facciano neppure male a chi le consuma, ossia noi” spiega Silvio Greco, biologo marino, docente di “Produzioni animali” presso l’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo – Bra, già dirigente di ricerca dell’Ispra (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale), membro della Commissione Oceanografica Italiana e responsabile scientifico di Slow Fish.

Pesci, quali mangiare

“Consumare pesce dal ciclo vitale breve”: è il primo appello degli esperti in tema di scelte di prodotti ittici. Cosa significa? “Mangiare un pesce che ha un ciclo vitale breve, ossia che vive poco, un anno e mezzo o al massimo due, ha almeno due conseguenze positive: da un lato si permette la prosecuzione della specie stessa, che si sarà riprodotta almeno una volta nell’arco della sua esistenza; dall’altro, vivendo poco, il pesce ha anche poco tempo per essere contaminato dagli inquinanti presenti in mare. A questo si aggiunge anche un terzo motivo: il prezzo, che generalmente per il pesce azzurro è molto più contenuto” spiega Greco, che è anche esperto agroalimentare e di pesca.

I grandi pesci e predatori, come tonno o pesce spada, assorbono molti più inquinanti nel corso della loro vita, così come altre specie di dimensioni maggiori. Andrebbero invece privilegiati pesci più nostrani. Possiamo scegliere tra oltre 500 specie, tra pesci e molluschi, che si trovano nei mari italiani e si possono consumare tranquillamente: abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Dobbiamo soltanto chiedere al nostro pescivendolo o nei punti di vendita nei quali ci riforniamo dei pesci differenti rispetto ai ‘pesci bistecca’”, esorta l’esperto.

La crescita dei “pesci bistecca”

“Spesso accade che i pesci di dimensioni più contenute non siano neppure portati a terra, perché ormai i consumatori di sono abituati a mangiare soprattutto tranci, che hanno il vantaggio di non avere spine o quasi. Sono più semplici anche da cucinare, perché basta metterli sulla griglia e in pochissimo tempo sono pronti. Ma questo rappresenta un problema: questi pesci appartengono alle specie più inquinate e pesano sulla sostenibilità ambientale” spiega Silvio Greco.  

Il fatto di privilegiare pesci in tranci ha delle ricadute anche sull’ambiente. Basti pensare che, secondo i dati di Wwf Italia, il 40% del pescato nei nostri mari viene buttato, finendo nuovamente in acqua ma senza vita, perché sarebbe pagato troppo poco o, non essendo richiesto, rimarrebbe invenduto. In compenso si calcola che il consumo medio annuale di pesce nel nostro Paese sia pari a poco meno di 30 kg a persona. Insomma, la richiesta c’è, ma o viene orientata su pesci di specie non nostrane, oppure trova risposta in attività di pesca massicce, quando non regolamentate o illegali.

Il rischio per l’ambiente

“I dati italiani e quelli della comunità scientifica che si occupa del Mediterraneo ci dicono che le specie che vivono nei nostri mari sono in sofferenza a causa di una pesca massiccia, che non dà il tempo ai pesci di riprodursi” spiega Greco. A causa dei cambiamenti climatici, che influiscono sulla riproduzione stessa delle specie ittiche, si stima che entro il 2050 si potrebbe perdere il 50% delle riserve di pesce nei mari a sud dell’Equatore, da cui proviene una grande parte di pesce che poi finisce soprattutto nelle grandi catene di supermercati nel mondo. L’aumento di anidride carbonica anche nelle acque causa la morte dei coralli, che rappresentano uno dei luoghi privilegiati di riproduzione dei pesci.

“Privilegiando la pesca delle stesse specie a lungo andare l’ecosistema ne risente” avverte il responsabile scientifico di Slow Fish. “La catena alimentare, a iniziare dal fitoplancton per finire con i predatori marini come squalo o tonno o altri più grandi, è costituita da un equilibrio che sta rischiando di saltare. A ciò si aggiunga la minaccia di spopolamento dei mari” dice Greco.

L’appello a un consumo sostenibile e sano

La soluzione sarebbe un consumo sostenibile, che segua anche il ciclo di vita e l’alternanza delle stagioni, come per frutta e verdura, e che sia a km zero. “Per esempio, in questo periodo c’è la gallinella, che è un pesce che si presta a molte ricette e costa poco. Anche i tombarelli, che ricordano per la loro forma i tonnetti, sono presenti in questo momento e sono gustosissimi, così come gli sgombri, la palamita, il nasello, il pagello, la triglia: sono tutti ottimi prodotti, si sfilettano anche con grande facilità, non bisogna farsi scoraggiare dalle spine, basta perderci un pochino di tempo in più” ” conclude il responsabile scientifico di Slow Fish.