Quel 12 dicembre 1969 ero studente universitario a Torino, allievo interno in un grande ospedale. Mi ricordo la folla di medici, infermieri e anche malati in pigiama ammassati nella sala mensa a osservare il buco sul pavimento della Banca Nazionale dell’Agricoltura, a Milano: le riprese sfocate arrivavano da un apparecchio piccolissimo e naturalmente in bianco e nero. Molti erano saliti sulle sedie per riuscire ad avere un’immagine: una cosa del genere non era mai successa in Italia, perlomeno da quando esisteva la televisione. Una caldaia scoppiata. No, una bomba. Diversi feriti. No, morti: 13, 14, 15, 16, 17… Erano agricoltori: e cosa ci facevano degli agricoltori in una banca, nel centro di Milano, in un venerdì sera prenatalizio con intorno gli zampognari? Era una tradizione antica, venivano dalla “bassa” a chiudere affari di mangimi, bestiame, a pagare rate di trattori. Si davano la mano e l’impiegato di banca con il colpo secco di un’immaginaria spada suggellava il contratto. Oh, che nostalgia dell’Italia di allora.

Ma chi poteva essere stato così feroce da collocare un ordigno in un posto così, in un giorno così? Cosa stava succedendo in Italia? C’erano scioperi dappertutto, nelle fabbriche e negli uffici come non si erano mai visti; i manifestanti bloccavano le autostrade nella nebbia, fermavano i treni nelle stazioni, la polizia si era dotata per la prima volta di grandi scudi di plastica e ci dava dentro con i manganelli. I liceali capelloni si erano messi a gridare “studenti e operai uniti nella lotta”. E adesso, a chiudere simbolicamente la stagione che sarebbe passata alla storia come “autunno caldo”, l’inverno ci aveva regalato una bomba. Chi diavolo poteva averla messa?

La folla radunata fuori dal luogo della strage

La folla radunata fuori dal luogo della strage

Piazza Fontana è stata la più colossale menzogna dell’Italia moderna

Per fortuna la polizia era in gamba. Aveva individuato in poche ore tutto il complotto: un ballerino anarchico, di nome Pietro Valpreda, un uomo che aveva in odio il mondo a causa di una malattia incurabile che lo faceva zoppicare; e un ferroviere, anche lui anarchico, di nome Giuseppe Pinelli, che vistosi scoperto si era buttato dalla finestra del quarto piano della questura di Milano.

Sono passati 50 anni e – anche se ancora sommessamente – si può dire che quella su piazza Fontana fu la più colossale menzogna che gli italiani hanno dovuto subire nei nostri tempi moderni. Gli anarchici non c’entravano niente, erano il capro espiatorio preparato prima; la bomba fu preparata e piazzata da un potente gruppo nazifascista, che si chiamava Ordine Nuovo e aveva rapporti stretti (troppo stretti) con il ministero dell’Interno. Lo dicono le sentenze più recenti. La logica, poi, dice anche altro.

Piazza Fontana

La voragine creata dall’ordigno (credits foto: Affer Perrucci Zanni)

Interminabili processi sono stati costruiti apposta per finire in assoluzioni dei colpevoli

Dice che “lo Stato”, quella strana cosa che allora era un’entità giovane, appena uscita dalla guerra e dal fascismo, se solo fosse stato più cosciente e onesto, avrebbe potuto arrestare gli assassini in poche ore. Ma non lo fece. Anzi, passò decenni a proteggere gli attentatori e irridere le vittime, con uomini politici e servizi segreti a ricattarsi l’un l’altro in una spirale di violenza che nessun altro Paese europeo ha conosciuto.

Avete visto il film The Irishman di Martin Scorsese (ora su Netflix, ndr), che racconta gli intimi rapporti tra crimine e potere? Bè, l’Italia nata dalla bomba di piazza Fontana ha avuto una trama analoga. Interminabili processi sono stati costruiti apposta per finire in assoluzioni dei colpevoli, nessuna delle vittime è stata risarcita, nessuno degli anarchici indagati è stato riabilitato pubblicamente, a eccezione di Pinelli, che 10 anni fa l’allora presidente Giorgio Napolitano, in una emozionata cerimonia alla presenza della vedova Licia, definì «completamente innocente, la 18° vittima di piazza Fontana».

Funerali piazza Fontana

I funerali in Piazza Duomo a Milano il 15 dicembre 1969

Chi ha vinto, alla fine: il sistema “bomba” o noi, resi più forti e umani dalle cicatrici?

Con quella bomba, io ci sono cresciuto e furono proprio quegli avvenimenti (e un certo sospetto verso le verità ufficiali) a spingermi verso il giornalismo (Enrico Deaglio è laureato in Medicina, ndr). A distanza di mezzo secolo scriverne sembra ripercorrere un giallo, con le strambe atmosfere di allora: i funzionari di polizia con la brillantina che avevano fatto carriera con il Duce e ancora lo rimpiangevano, i magistrati pavidi e obbedienti, i giornali che non pubblicavano niente che potesse dare fastidio alle autorità, i politici intimiditi da qualcosa più grande di loro, ovvero quei famosi “servizi segreti deviati”, che ancora adesso non si capisce da cosa deviassero.

Ma anche quell’ostinata ricerca della verità, quel dubbio democratico che le cose non fossero andate come ci dicevano, quella folla muta sotto un cielo nero che si fece massa invalicabile in piazza Duomo, quel pittore che dipinse un grande quadro dove era rappresentata la verità, ma che era troppo forte per farlo vedere. Chi ha vinto, alla fine? Il “sistema della bomba” che ci ha fatti ballare tutti al suo ritmo per decenni, e che potrebbe farlo nuovamente? O abbiamo vinto noi perché le cicatrici che portiamo ci hanno reso più forti, più intelligenti, più umani? È un buon argomento per la cena di Natale, ricordando quel cupo Natale di 50 anni fa.
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IN LIBRERIA

Enrico Deaglio, autore di questo articolo, ha appena pubblicato "La bomba" (Feltrinelli), che ricost

Enrico Deaglio, autore di questo articolo, ha appena pubblicato “La bomba” (Feltrinelli), che ricostruisce la strage di Piazza Fontana e il clima dei mesi successivi.

DOCUFICTION, LIBRI, E PODCAST PER RICORDARE

Sono tantissime le uscite dedicate all’anniversario della strage di piazza Fontana. Ne abbiamo scelte 4.


1 di 4

“Io ricordo” è la docufiction su Francesca Dendena, figlia di uno dei 17 morti e presidente dell’associazione familiari delle vittime, interpretata da Giovanna Mezzogiorno (su Rai1 il 12 dicembre in prima serata)


2 di 4

In “Il processo impossibile” Benedetta Tobagi ripercorre la storia del dopobomba, che vide coinvolto anche suo padre Walter, giornalista poi ucciso dai terroristi (Einaudi)


3 di 4

“La bomba in testa”, un podcast scritto da Nicolò Porcelluzzi, racconta l’autunno caldo da un punto di vista inedito: quello dei millenials che non l’hanno conosciuta (su www.storytel.it)


4 di 4

Nel saggio “Piazza Fontana” di Gianni Barbacetto i protagonisti sono i giudici che indagarono sulla pista fascista (Garzanti)