C’è voluta Wonder Woman per inventare la pillola, all’incirca 60 anni e una rivoluzione fa. Infermiera, femminista, nata in un sobborgo di New York (sua mamma ebbe 18 gravidanze, 11 portate a termine, e morì di cancro all’utero), Margaret Sanger era così determinata a realizzare il suo ideale di uguaglianza da ispirare nel 1941 la famosa supereroina dei fumetti, ma soprattutto da convincere l’ereditiera Katherine McCormick a finanziare un grande progetto a favore delle donne. Insieme reclutarono Gregory Pincus, biochimico esperto in fertilità (era riuscito a fecondare un coniglio), e il ginecologo di Harvard John Rock per fare dei test clinici con il progesterone sintetico: nel 1955 misero a punto una pillola contraccettiva che permetteva alle donne di evitare una gravidanza e il ricorso agli aborti illegali.
Peccato che in molti Stati Usa la pianificazione delle nascite fosse contro la legge, e solo nel 1957 il farmaco venne commercializzato col nome di Enovid: indicato per il trattamento dei disturbi mestruali, sull’etichetta riportava la scritta “Attenzione: impedisce l’ovulazione”. Nel 1960 la Food and Drug Administration ne approvò l’uso anticoncezionale. In 2 anni, mezzo milione di americane ne fecero richiesta. Nel 2019, un miliardo di donne nel mondo ne ha fatto uso.
La pillola ha permesso alle donne di desiderare e di scegliere se diventare madri
«La pillola è stata la più grande rivoluzione del ’900» commenta la scrittrice e femminista Lidia Ravera. «Ha sdoganato la sessualità, consentendo alle donne la libertà di essere persone e non solo procreatrici. Il dottor Pincus ha fatto più di Che Guevara, perché ha dato alle donne la possibilità di scegliere se essere madri: le ha messe al pari degli uomini, le ha fatte uscire dalla caverna metaforica in cui erano rimaste confinate fin dalle origini dell’umanità, spossate da una gravidanza dietro l’altra a occuparsi di un numero infinito di cuccioli. È una rivoluzione che ancora non è stata completata: un processo lento, profondo, che richiede un grande lavoro culturale. Ma è senza dubbio il farmaco che ne ha gettato le basi».
La pillola anticoncezionale in Italia
In Italia il percorso di questo anticoncezionale è particolarmente accidentato. Introdotto nel 1965, a scopi terapeutici e solo dietro prescrizione medica, era riservato alle donne sposate. Il pericolo, come proclama nel 1968 l’enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo V, è la promiscuità: il sesso liberato dall’obbligo di procreazione.
Ma la rivoluzione sessuale ormai è innescata e moltissime ragazze possono contare su un ginecologo di fiducia che, diagnosticando disturbi mestruali inesistenti, provvede ad assicurare copertura contraccettiva. Tra queste c’è anche Lidia Ravera, che ricorda: «Ho comprato le mie pillole con entusiasmo, come sventolando una bandiera. Le donne per millenni sono state oggetto di desiderio: riuscire a diventare soggetto di desiderio – non più semplicemente imbandirsi per essere scelte, ma scegliere – è stato un effetto collaterale sovversivo».
Nel 1971 viene abrogato l’articolo 533 del Codice penale che vieta la contraccezione orale, ma è soltanto dal 1976 che si può comprare in farmacia.
La pillola ha subito un’evoluzione nella formulazione e oggi è più “light”
Eppure ancora oggi la pillola, nel nostro Paese, incontra una certa resistenza: in Europa siamo in fondo alla classifica dell’uso, perché piace solo al 16% delle italiane e non è molto apprezzata dalle millennials. Secondo la dottoressa Franca Fruzzetti, responsabile dell’ambulatorio di Endocrinologia ginecologica dell’ospedale universitario Santa Chiara di Pisa e presidente della Società Italiana di contraccezione, è principalmente una questione di cattiva “fama”. «Nessun farmaco ha subito un’evoluzione pari a quella della pillola. A partire dai costituenti: le prime formulazioni contenevano dosaggi molto elevati di estrogeni, oggi invece sono bassissimi e a quelli di sintesi si sono aggiunti gli estrogeni naturali. I progestinici, che sono di fatto i responsabili dell’azione contraccettiva, avevano allora un’attività androgenica: significa che il mito per cui “la pillola fa venire i baffi” aveva un fondo di verità».
Adesso tutto è cambiato, tranquillizza la dottoressa Fruzzetti: i nuovi progestinici hanno un’attività anti-androgenica. Cioè, se ho i baffi me li fanno cadere, se ho l’acne me la fanno passare. Inoltre sono cambiati i regimi di assunzione. «Tradizionalmente la pillola si prendeva per 21 giorni, ma la ragione era… religiosa, diciamo. In questo modo, infatti, si provocava una mestruazione, completamente fittizia, una volta al mese. Adesso questo intervallo può essere ridotto o persino sospeso. Al di là del beneficio ludico e vacanziero, ci sono donne che soffrono di malattie in fase premestruale, patologie anche gravi. Eliminando la mestruazione, si restituisce loro qualità della vita. Un altro retaggio di quelle prime “bombe ormonali” è la paura di un aumento del rischio tumorale, quando invece oggi si sa che prendere la pillola per 5,10 o 20 anni riduce del 50% la possibilità di ammalarsi di carcinoma dell’ovaio, dell’endometrio o del colon».
Di sicuro, però, non ha aiutato la riclassificazione, avvenuta nel 2016, di tutte le pillole anticoncezionali dalla fascia A dei farmaci essenziali e gratuiti alla fascia C, completamente a carico delle cittadine.
La campagna dedicata alle ragazze sui social
Nel mondo il 49% della popolazione in età fertile usa la contraccezione orale: in Italia il 16%. In occasione dei 60 anni della pillola, Bayer ha lanciato la campagna #storiesdiragazze, per una corretta informazione sulla sessualità sicura sui social network (sulla pagina Facebook “My Contraception Italia”).
«Una volta si andava nelle scuole a parlare, ma i risultati non erano brillanti» dice l’endocrinologa Franca Fruzzetti. «Oggi, con i canali social, abbiamo cambiato il modo di proporci per informare soprattutto le teenager, di stimolare conoscenza e curiosità».