Il tumore segna uno spartiacque, ma è il modo in cui decidi di attraversarlo che fa la differenza. Da oggi insieme a Fondazione Umberto Veronesi raccontiamo le storie delle Pink Ambassador, donne che pensavano di non avere un domani e invece oggi corrono per il progetto Pink is Good (la raccolta fondi di Fondazione Umberto Veronesi a sostegno della ricerca scientifica). Con loro, anche alcune delle tante scienziate che hanno deciso di dedicare la propria vita allo studio e alla cura dei tumori femminili.
Ottobre è il mese della prevenzione del tumore al seno che colpisce ogni anno in Italia 53mila donne. È il tumore più diffuso, ma oggi grazie ai progressi della ricerca e alla prevenzione i tassi di guarigione sono sempre più incoraggianti. Abbiamo raccolto i volti, le voci e le storie di alcune donne che hanno vissuto e vivono questa malattia e vogliamo presentarvele perché siano di ispirazione per tante altre donne: oggi la diagnosi di tumore può segnare l’inizio di un futuro nuovo, da ridisegnare e inventare, diverso ma tutto da vivere.
C’è Karin, che ha appena corso la sua prima mezza maratona, un anno dopo la sua malattia: «Ogni volta che mi infilo la maglia delle Pink Ambassador per andare a correre è come se rinascessi, è un’infusione di energia pazzesca». Karin è una di loro, una donna colpita da un tumore al seno. Aveva 35 anni. Ne sono passati tre e lei oggi ha aggiunto alla sua vita un altro tassello: l’amore per la corsa, che non è solo praticare running ma condividere con altre donne come lei una crescita, una scommessa sul proprio futuro e la grande fiducia nella ricerca, che le ha salvato la vita. «Il coraggio si trasmette come la proprietà transitiva: loro lo passano a me e io lo passo a loro».
Karin ha vissuto la chemioterapia come una maratona: ogni tappa un piccolo successo, da festeggiare con un gelato. Solo così è riuscita a sopportare il dolore di perdere i capelli. «La chemio per me è stata una prova terribile perché mi sono confrontata con le mie fragilità, i miei limiti ma anche la mia forza, energie e risorse. Ed è quando le forze sono ridotte al minimo che viene fuori il tuo carattere, la tua voglia di vivere e di reagire. Alla fine mi sono ritrovata con tantissimi capelli e tutti dicevano che era la mia volontà di non perderli».
E poi c’è Greta: la corsa come via d’uscita dalla malattia e dal torpore dell’anima. La corsa come maestra di resistenza e di tenuta mentale. Per lei, che era una runner ben prima della diagnosi di tumore al seno, l’attitudine a non mollare, a resistere, ad andare avanti è stata la chiave di volta per affrontare la lunghissima chemioterapia dopo il tumore al seno. «Un percorso lungo come una maratona, che ha minato l’immagine su cui si fondava la mia identità perché avevo capelli lunghissimi, che ho perso. Ma lasciando andare i capelli, ho lasciato andare anche le cose che non contano e ho capito quali sono i rapporti veri, le amicizie importanti, la mia essenza». Ora corre con le Pink Runners per urlare a tutte le donne l’importanza della prevenzione. «Non perdete neanche una visita di controllo, dovete trovare il tempo per voi stesse, è quello che può salvarvi la vita».
Karin e Greta sono solo alcune delle Pink Ambassador, ambasciatrici del progetto Pink is Good, la raccolta fondi di Fondazione Umberto Veronesi per sostenere la ricerca: finora sono 192 i progetti resi possibili sul tumore al seno, all’utero e all’ovaio. Ma come lavorano i ricercatori? Cosa significa dedicare il proprio tempo allo studio di soluzioni per curare il cancro? Nel nostro viaggio abbiamo voluto ascoltare anche la voce potente delle ricercatrici, donne che per noi si sono spogliate del loro camice e ci hanno raccontato cosa vuol dire davvero fare questo lavoro, cosa significa studiare e cercare soluzioni innovative per salvare delle vite, cosa rappresenta per loro – donne e in molti casi mamme – questa sfida gigantesca tra microscopi, borse di studio, caccia ai bandi e notti a scrivere progetti.
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