Una giovane commessa bresciana, qualche mattina fa, a Coccaglio ha travolto un passeggino con dentro un bimbo di due anni, schivando miracolosamente la mamma e la sorella. Il piccolo è stato sbalzato fuori, è ricaduto sull’asfalto dopo un volo di diversi metri (“con gli occhi fissi”, come ha detto un passante accorso in aiuto) ed è finito in ospedale in condizioni preoccupanti, con un trauma cranico, in coma. L’automobilista, 22 anni, non si è fermata a prestare soccorso o a chiamare le ambulanze. Ha tirato dritto. È andata a lavorare, come se nulla fosse, senza ripensamenti. Identificata in fretta, grazie alla testimonianza della madre del bambino e ai rilevatori di targhe e alle telecamere di sorveglianza del paese, è stata rintracciata, arrestata e posta temporaneamente ai domiciliari. Il giudice di turno, poi, non ha convalidato le manette per una questione formale (una diversa interpretazione del tempo passato tra incidente e arresto) e ha disposto la liberazione della ragazza (decisioni oggetto di ricorso da parte della procura).
L’investitrice: «Pensavo fosse un paletto»
«Non posso crederci» ha provato a giustificarsi, così riporta il Corriere della Sera. «Ero convinta di aver urtato un paletto. In quel momento non avevo una buona visuale a causa della brina che si era formata sul parabrezza, peggiorata ulteriormente dal riflesso del sole sul vetro. Quindi non riuscivo a vedere bene la strada». Indagata e privata temporaneamente della libertà, in attesa delle prime valutazioni del giudice di turno, dovrà rispondere delle lesioni provocate al piccolo, dell’omissione di soccorso e della fuga. Procura e investigatori cercheranno di trovare riscontri alla versione data dall’indagata e di appurare se stesse invece usando il cellulare, come succede di frequente.
L’ennesimo caso drammatico che indigna, fa discutere, interroga, esige risposte. Perché troppe volte chi provoca un incidente pigia sull’acceleratore e si allontana, anziché fermarsi? Che cosa passa nella testa di un guidatore che si lascia alle spalle un bimbo inerme e una madre terrorizzata, un passeggino ribaltato, una persona agonizzante, una vittima? Come mai la tanto strombazzata introduzione del reati di omicidio stradale e lesioni stradali, con punizioni più dure e procedure più rigide, non sembra aver portato gli effetti sperati? E se succedesse a noi, di investire un neonato o un adulto, come ci comporteremmo?
«In fuga per sottrarsi alle punizioni»
Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, l’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale, si è battuto per l’inasprimento delle pene, delle sanzioni amministrative e delle misure cautelari per i reati stradali. «Ce lo dice la casistica. Scappa in genere chi ha bevuto troppo o fatto uso di droghe, perché sa di andare incontro a punizioni ancora più severe. Stesso discorso per il conducente che gira con la macchina, la moto o il camion sprovvisti di assicurazione. C’è chi si allontana, pur essendo sobrio e lucido, per non vedersi ritirare o sospendere la patente o solo per non farsi scalare dei punti, magari perché distratto dal cellulare. Spesso i pirati della strada sono convinti di riuscire a farla franca e rimanere impuniti. Non è vero. Non è così nella maggioranza dei casi. La media dei fuggitivi scovati e perseguiti è del 60 per cento. Per gli incidenti mortali e più gravi si sale al 70 per cento. Molta gente – prosegue l’esperto – è disinformata, non si rende esattamente conto di quello a cui va incontro. Davanti ai giudici c’è anche chi giura di aver avuto paura. Ma paura di che cosa? Di un bambino inerme? Di una mamma che pensa solo a lui? Non mi pare che chi provoca uno scontro o investe un passante sia sistematicamente sottoposto a un linciaggio. E c’è pure chi dice di essere entrato in uno stato di choc, dopo aver inforcato un pedone o un ciclista. Posso capire. Può capitare davvero. Ma un quarto d’ora dopo l’evento – Biserni ne è convinto – lo stato emotivo cambia. E dovrebbe subentrare la consapevolezza. Non è ammissibile che un pirata sconvolto emotivamente non torni indietro subito, dopo essersi calmato. Invece poi si fanno avanti i conducenti che sentono di avere il fiato sul collo, cioè sul punto di essere scovati da vigili, poliziotti o carabinieri. E il dietro front è per avere un trattamento più leggero, presentandosi in caserma o in procura entro 24 ore, e schivare le manette». L’arresto è obbligatorio nei casi estremi ed è comunque facoltativo negli altri, applicabile a discrezioni degli operatori di polizia.
«Il 10-15 per cento dei pirati è di genere femminile»
Andrea Piselli, comandante della polizia municipale dell’Unione terre d’acqua, raggruppamento di sei comuni del Bolognese, su questi temi ha scritto un saggio per la Rivista di criminologia, vittimologia e sicurezza. E spiega, nel testo, con un’analisi ricalca quella del presidente di Asaps. «Colui che cagioni un grave sinistro stradale dopo aver consumato alcol o droga, essendo consapevole della propria condizione di intossicazione, scappa perché si prefigura conseguenze molto dure e molto peggiori rispetto al rischio che corre tentando di fuggire. La commissione di questo genere di violazioni prelude a procedimenti di sospensione o revoca della patente e di arresto obbligatorio, nel caso in cui la persona coinvolta nell’incidente abbia perso la vita. L’aggravamento delle conseguenze sfavorevoli a proprio carico –ribadisce il graduato – sposterebbe l’ago della bilancia benefici/rischi a favore del tentare la sorte, cioè provare a sparire. Un esempio? La guida di veicoli scoperti dall’assicurazione obbligatoria, violazione che si scopre con un accertamento di routine, porterebbe al sequestro cautelare del mezzo. Ci si allontana per evitarlo». Un altro movente plausibile della fuga è “la commissione di altri reati collegati al sinistro”, come la partecipazione a gare di velocità clandestine. Un ulteriore elemento di interesse e di discussione, scrive sempre Piselli, «è quello sulla presenza femminile in questa forma di criminalità, con un tasso che oscilla tra il 10 e il 15 per cento del totale», dato ritenuto “coerente” con le statistiche generali relative alle donne autrici di reato.
«Troppa leggerezza e troppa superficialità»
Lo psichiatra forense Marco Cannavicci pone l’accento su un altro aspetto ancora: «Di recente quello che emerge, in relazione alle fenomenologia del pirata della strada, è la mancata assunzione di responsabilità di chi provoca un incidente e se ne va, cosa che riguarda gli altri aspetti della vita e non solo gli stili di guida e l’omissione di soccorso. In tutti gli ambiti c’è troppa leggerezza, troppa superficialità. Di fronte a situazioni critiche – constata – la persona fugge, scappa, nega. Un soggetto sconvolto che non aiuta chi ha ferito tende a ravvedersi non quando riprende il controllo di sé, ma se sente alla televisione che le videocamere di sicurezza hanno ripeso la scena dell’incidente o la macchina segnalata. Per episodi come quelli di Coccaglio – continua – noi tendiamo a immedesimarci con le vittime e i familiari. Dovremmo anche chiederci come ci comporteremmo noi, in circostanze analoghe, se fossimo dalla parte degli investitori. Siamo sicuri che ci fermeremmo? O siamo solo capaci di giudicare chi lo fa?».
Il pirata tipo è un antisociale
Fin dai tempi de Il sorpasso, il film del 1962 con Vittorio Gassman, ci sono automobilisti spavaldi, arroganti, incoscienti. «Solo in tempi più recenti si è cominciato a dare loro un peso rilevante. In non pochi casi – prosegue il dottor Cannavicci – il pirata si ricollega psicologicamente ad una personalità dalle caratteristiche peculiari e che possiamo incontrare non solo sulla strada, ma in tutti i contesti relazionali in cui emergono comportamenti antisociali. In lui, o in lei, pre-esistono delle caratteristiche psicologiche che nei momenti critici predispongono in modo negativo le reazioni emotive e comportamentali, provocando ad esempio la fuga in situazioni difficili. Scappare dopo un incidente non è l’unico comportamento negativo che compare in occasione di un tamponamento o un frontale: una personalità antisociale, pur avendo torto, potrebbe reagire con aggressività, al punto da arrivare alle mani oppure usare un coltello o una pistola. Non sempre coloro che provocano un incidente cambiano aria. In genere c’è uno schema che si ripete. Uno: guidare con scarso rispetto delle regole, prima di un sinistro stradale, così da provocare per imprudenza o per inosservanza delle regole un incidente che coinvolga altre persone, facendo loro del male, anche uccidendole. Due: assenza di empatia per il prossimo, durante l’evento dell’incidente, tale da non indurre a fermarsi a soccorrere chi si è fatto male, chi sta soffrendo, chi è in pericolo di vita. Tre: assenza del senso di responsabilità, come accennato». E se i fuggitivi alla fine riescono a farla franca, sempre a parere di Marco Cannavicci, «si gratifica e si rinforza la loro personalità antisociale, inducendoli a pensare che hanno fatto bene a scappare, che sono stati molto furbi e che nessuno riuscirà più a incastrarli».
«Immaturità affettiva e mancata percezione dei pericoli»
Irresponsabilità e immaturità, non sul versante intellettivo, sono due caratteristiche ricorrenti. «Di solito si tratta di persone sveglie e pronte, ma non dal punto di vista affettivo ed emotivo. Ed è appunto l’immaturità affettiva che non permette una corretta gestione delle emozioni, della rabbia, della paura, dello stress, della tensione». Più si è giovani, osserva ancora lo psicologo forense, più questo può miscelarsi al bisogno di ribellione e trasgressione, alla ricerca di sensazioni forti, all’uso di sostanze alcoliche e stupefacenti. «Inoltre – conclude Cannavicci – nel comportamento di molti pirati della strada si osserva un’assenza della percezione del pericolo e del rischio che si corre con l’alta velocità, la guida pericolosa, la distrazione dovuta all’uso di smartphone e affini. Rischio non solo per sé, ma per il prossimo. C’è quasi un disprezzo della vita altrui, posta in posizione subalterna al proprio piacere».