Cè stato un tempo in cui la plastica godeva di ottima fama. Erano gli anni Sessanta e alla tv un sorridente Gino Bramieri mostrava vaschette e secchielli indistruttibili: Emòemòemò Moplen! Il Moplen non era altro che il polipropilene, inventato da un italiano, il fisico Giulio Natta, che per questo vinse il Nobel. Oggi, dopo 60 anni, la plastica è sotto accusa perché, ricerche alla mano, non è finita solo in discarica.
La troviamo, ridotta in particelle, dappertutto: nell’aria, nei fiumi e nel mare, dove la mangiano i pesci. E se la mangiano loro, allora poi cosa succede quando noi quel pesce lo portiamo in tavola? Silvio Greco, biologo marino e autore di pubblicazioni scientifiche, ha scritto La plastica nel piatto (Giunti). Il titolo è a effetto, ma rispecchia la realtà. E non riguarda solo il pesce, come lo studioso spiega in questa intervista.
Fa un certo effetto pensare di mangiare la plastica, perché non ce ne accorgiamo
«Le microplastiche sono piccole, le nanoplastiche ancora di più. Intendiamoci, parliamo di un materiale che ha rivoluzionato le nostre vite e permette di realizzare oggetti di uso comune, dalle calze di nylon agli stent, dai computer agli elettrodomestici. Il problema è che si è finito per andare oltre il suo impiego originario, quello di creare oggetti destinati a durare per sempre e si è finito per impiegarlo per bottiglie, piatti, bicchieri, cannucce monouso: una grande quantità di rifiuti difficile da gestire».
Grazie agli studi degli ultimi anni oggi possiamo misurare anche quanta plastica finisce nel piatto e da dove proviene?
«Sì, ne ingeriamo 30 grammi al mese: il 65% deriva da quello che beviamo, il 5% dall’aria, il resto dal cibo. Secondo uno studio tedesco di 2 anni fa, la maggiore quantità di microplastiche che consumiamo deriva dall’imballaggio dell’acqua imbottigliata: le bottiglie di PET contengono 118 particelle per litro. E l’università di Catania, lo scorso anno, ha pubblicato una ricerca che ha esaminato 10 marche di largo consumo di acqua, sempre in bottiglie di PET. Tutti i campioni contenevano microplastiche e l’acqua più contaminata era quella in una bottiglia di qualità scadente».
Meglio allora bere l’acqua di rubinetto?
«C’è anche lì, ma in misura decisamente minore: la media più alta è stata trovata negli Stati Uniti ed è di 9,24 particelle al litro. La causa può essere dovuta a diversi fattori: la fonte dell’acqua, i metodi di filtraggio, i tubi, i serbatoi che la trasportano e che possono essere rivestiti di polietilene e polipropilene».
Produrre plastica costa poco e la richiesta non diminuirà in futuro. Il riciclo? in Italia ci si ferma al 9%, il resto va nell’inceneritore
Se l’imballaggio “pesa” così tanto, cosa succede agli alimenti a contatto con la plastica? Penso alle confezioni con la frutta e l’insalata, ai cibi pronti
«Il packaging è il settore dove la plastica viene impiegata di più e quello per gli alimenti occupa una fetta importante. La vita di questo imballaggio è breve, diventa subito uno scarto, ma in quel lasso di tempo i residui plastici possono rimanere a contatto con l’alimento. Dipende dalle caratteristiche della plastica, che non è tutta uguale, da temperatura e umidità e dal contenuto. Una cosa è certa: gli alimenti grassi, come i dolci, e i prodotti vicino alla scadenza li assorbono di più».
E a tavola? Mangiando quali alimenti rischio di ingerire della plastica?
«Il pesce prima di tutto, ma bisogna fare una distinzione: mentre le microparticelle si eliminano con l’eviscerazione, la stessa cosa non succede nei frutti di mare, con e senza conchiglia. E l’elenco è lungo: cozze, vongole, ostriche, capesante, fasolari, cannolicchi, polpo, seppia, gamberetti, scampi e calamari. La plastica che c’è in mare contamina anche il sale. Poi ci sono il miele e la birra, su cui si sono concentrati studi importanti. A incidere potrebbero essere le particelle di microplastica presenti nell’aria e i materiali utilizzati per produrli».
Stabilito che la plastica la mangiamo, quali sono gli effetti sul nostro organismo?
«Studi e ricerche in questo campo sono appena iniziati. Il 7 aprile prossimo, insieme all’università di Bologna e al professore Pierluigi Zinzani, lanceremo il progetto internazionale “Plastic bodies”. Bisogna capire dove si accumula e quali danni provoca. E a questo scopo sarà utile studiare altri tipi di alimenti, dagli ortaggi alla carne».
Plastica e ambiente: info utili
Cosa possiamo fare come consumatori, cosa fanno l’Italia e l’Europa per ridurre il consumo di plastica? Trovi molte info nelle linee guida del ministero dell’Ambiente, su www.minambiente.it/pagina/io-sono-ambiente-linee-guida-e-materiali-plastic-free. Da consultare anche il sito PSF fondato dallo scienziato Michiel Roscam Abbing (plasticsoup foundation.org). Per plastic soup (zuppa di plastica) si intendono proprio i rifiuti di plastica e le microplastiche, secondo una definizione data dall’UNEP (il Programma per l’ambiente dell’Onu).