Sempre più spesso si assiste a un abuso nel ricorso a pillole o compresse, soprattutto negli ultra 65enni. Si tratta della cosiddetta polifarmacia personale, cioè l’assunzione di più farmaci contemporaneamente non solo col fai-da-te, ma anche in occasione di terapie messe a punto dal medico, o dai medici. Il problema si pone spesso in caso di più patologie in contemporanea, come accade agli anziani: una pratica che può portare a cancellare l’effetto positivo delle cure stesse, ma anche a conseguenze peggiori come interazioni negative tra farmaci, ospedalizzazione o all’abbandono delle terapie stesse da parte dei pazienti, stufi di dover prendere troppe pastiglie o convinti di poterne prendere meno, scegliendo da soli quali assumere o in che dosi.
Polifarmacia personale: un rischio specie per gli anziani
Con gli anni possono comparire malattie croniche, per le quali si ricorre a terapie specifiche. Il problema, però, è quando le cure diventano tante o in contrasto tra loro. Un fenomeno sempre più frequente, secondo i dati della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), secondo cui in Italia il 66% degli adulti assume oltre 5 farmaci e 1 anziano su 3 oltre 10 farmaci l’anno. «La polifarmacia è definita come l’assunzione cronica di cinque o più farmaci. Una pratica che espone a rischi sia di gestione delle terapie che di effetti indesiderati» chiarisce il presidente della SIMI (Società italiana di medicina interna), Giorgio Sesti.
Polifarmacia: chi è più a rischio
L’uso eccessivo di farmaci è una condizione comune per almeno due terzi degli anziani, come evidenzia uno studio americano pubblicato su Jama Internal Medicine nel 2016. «Sono i più colpiti, in particolare quelli con polipatologie e fragili, cioè più a rischio di esiti avversi: si tratta di persone che corrono più rischi di ricovero ospedaliero, cadute, ulteriore disabilità fino ad esito infausto. Queste persone, inoltre, sono spesso affette da più patologie croniche: la prevalenza di multi-morbilità è stata stimata per gli anziani ultrasessantacinquenni intorno al 40-60%, mentre arriva a circa l’80% nei soggetti ultraottantenni» spiega il dottor Sesti.
Significa che ben oltre la metà degli over 65 assume più farmaci per diverse patologie croniche contemporanee: secondo l’ultimo rapporto OSMED, nei pazienti di età 65-69 anni si prendono 5,4 farmaci insieme, che diventano 7,7 nei pazienti over 85 anni. «Alcuni studi, condotti nell’ambito del programma Reposi (REgistroPOliterapie della SIMI – un network di reparti di medicina interna e geriatria italiani), mostrano come a rischio di effetti indesiderati siano soprattutto le persone con ridotta funzionalità renale, condizione comune tra gli anziani».
Per quali patologie si rischia l’abuso di farmaci
L’abuso di farmaci assunti in contemporanea riguarda, dunque, le patologie croniche, quelle che richiedono l’assunzione continuativa di medicinali specifici. Proprio una ricerca di Reposi, condotta su oltre 5mila pazienti, ha indicato come almeno la metà mostrava una compromissione moderata della funzionalità renale; il 14% una compromissione funzionale grave e infine il 3% molto grave. Tra i pazienti con ipertensione, diabete, fibrillazione atriale, coronaropatia e scompenso, all’11% veniva prescritto un dosaggio di farmaci inappropriato rispetto alla funzionalità renale. Anche nel follow up, le prescrizioni inappropriate si associavano a un maggior rischio (+50%) di mortalità per tutte le cause.
«Le patologie croniche che si associano a un uso elevato di poli-farmaci sono quelle del sistema cardiovascolare come ipertensione arteriosa, malattie aterosclerotiche, malattie metaboliche come il diabete, l’iperuricemia e le dislipidemie (eccesso di lipidi nel sangue, NdR), infine le malattie dell’osso come l’osteoporosi» spiega l’esperto.
Quali farmaci sono prescritti in modo inappropriato
Il dottor Sesti sottolinea come molti farmaci siano spesso prescritti in modo inappropriato, pur seguendo le linee guida disponibili: si tratta soprattutto di «farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), gli antibiotici e i farmaci attivi nel sistema nervoso centrale (antipsicotici, antidepressivi, oppioidi)». Il presidente SIMI, quindi, invita a una “deprescrizione”.
Occorre la “deprescrizione”: sfoltire i farmaci
Prendere molti farmaci, quindi, non è sempre indice di una cura più efficace o dai risultati migliori, anzi: gli esperti della Società Italiana di Medicina Interna invitano a maggiore cautela nelle prescrizioni e soprattutto a un coordinamento delle prescrizioni da parte dei medici. Ciò che andrebbe evitato è proprio di collezionare tante ricette di farmaci diversi, «una per ciascuno specialista, spesso in conflitto tra loro, tanto da provocare interazioni ed effetti indesiderati, che possono pregiudicare la sicurezza del paziente» – sottolinea Sesti – È necessario invertire questa tendenza e inaugurare l’era del ‘deprescribing’. Ma perché questo avvenga, dobbiamo aumentare la consapevolezza di pazienti e medici, in particolare quelli di famiglia e gli internisti, invitandoli, dopo un’anamnesi farmacologica accurata, a ‘sfoltire’ le prescrizioni a cominciare dai loro pazienti più anziani». Attenzione, però: «La deprescrizione – avverte l’esperto – non deve essere considerata la negazione di una terapia farmacologica efficace, bensì un intervento positivo, con al centro la persona con polipatologie, e che richiede un continuo e attento monitoraggio da parte degli specialisti della complessità ovvero gli internisti».
Attenzione anche ai troppi esami
Da qui lo slogan less is more: «Non vale solo per le medicine, ma anche per i troppi esami, alcuni dei quali (le TAC) ad esempio comportano rischi per la salute legati ad un eccesso di radiazioni – spiega Sesti – Un articolo del National Cancer Institute pubblicato su Jama Internal Medicine ha stimato che considerando il numero di TAC effettuato nel 2007 sarebbe lecito attendersi un eccesso di 60 mila casi di cancro e ben 30 mila morti in più. Di certo, molti di questi esami potrebbero aver contribuito a salvare delle vite, facendo scoprire ad esempio un tumore in fase precoce. Ma la stragrande maggioranza poteva forse essere evitata. Quindi anche in questo caso la parola d’ordine è ‘appropriatezza’, soprattutto quando un esame delicato viene prescritto a un paziente giovane» conclude Sesti.