Tutti abbiamo visto Hillary Clinton, in corsa per la presidenza degli Stati Uniti, accasciarsi durante le celebrazioni per l’11 settembre. Il suo staff parla di polmonite. La domanda che impazza è se questa malattia possa condizionare il suo destino politico, mettendo fuori gioco la candidata democratica. “Da quello che ho letto dovrebbe trattarsi di una polmonite virale” risponde il dottor Enrico Ballor, pneumologo, professore universitario a contratto e consulente del Centro trapianti di Torino. “Se curata, in generale si risolve e si torna alla vita di prima. Il tempo di guarigione dipende dalla causa, in questo caso dal tipo di virus e dall’estensione dell’infezione a uno o entrambi i polmoni”.
Si rischiano malori e svenimenti come è successo alla Clinton?
Sì, perché chi si ammala dovrebbe stare a riposo fino a quando non si ristabilisce del tutto: “Non bisogna strafare e si deve seguire la terapia farmacologica prevista. Altrimenti si rischiano complicazioni”. Come è capitato appunto alla Clinton, con quel cedimento che rischia di compromettere la sua campagna elettorale. “In situazioni di stress esasperato, com’è la corsa per la presidenza americana, l’organismo produce ormoni e in particolare cortisolo. Il cortisolo rende più performanti, ma anche immunodepressi e quindi più vulnerabili a cadute”.
Che cos’è la polmonite?
“La polmonite è una malattia infiammatoria dei polmoni dovuta a un’infezione microbica, provocata cioè da virus, batteri o miceti” ricorda il dottor Ballor. “Può essere causata anche dall’irradiazione durante la radioterapia per la cura dei tumori. Meno di frequente è conseguenza della somministrazione di alcuni farmaci o di malattie autoimmuni. Quella microbica colpisce più facilmente soggetti con il sistema immunitario più fragile, come gli over 65 anni, i neonati, persone con asma bronchiale, bronchiti croniche e enfisemi, diabetici e cardiopatici, fumatori”.
Qual è la causa della polmonite?
“La causa più comune di polmonite è quella microbica” spiega l’esperto. “Le parti del polmone più frequentemente colpite dall’infiammazione sono gli alveoli, le cellette che si trovano alla fine dei bronchi più piccoli, dove avvengono gli scambi di ossigeno e anidride carbonica. I batteri possono arrivare fin lì dall’esterno (“passati” da altre persone infette, attraverso micro gocce di saliva) o attivarsi dall’interno (nel caso di persone immunodepresse). Poi iniziano a moltiplicarsi, perché sono particolarmente aggressivi o perché l’organismo non riesce a contrastarli. L’infiammazione provoca la produzione di catarro infetto e questo pus tende a riempire gli alveoli polmonari in spazi circoscritti, i focolai. Gi scambi respiratori diventano sempre più difficili, fino ad arrivare all’insufficienza respiratoria. Purtroppo di polmonite si può anche morire, anche ai nostri tempi, nelle nostre città. Le persone più rischio sono quelle in cui insorgono complicazioni e gli anziani”.
Quanti tipi di polmonite esistono?
“Si possono identificare vari tipi di polmonite, in relazione alle sede prevalente d’infezione, al germe responsabile e alle modalità di trasmissione” dice il dottor Ballor. “La polmonite comunitaria, ad esempio, colpisce gli ospiti di comunità sociali quali asili, scuole, luoghi di lavoro. La polmonite nosocomiale riguarda i pazienti ricoverati in ospedale, in particolare nei reparti di rianimazione. A provocarla è la trasmissione di infezioni respiratorie tra pazienti ad opera di batteri già presenti nell’ambiente, spesso molto pericolosi in quanto resistenti a numerosi antibiotici”.
Quali sono i sintomi?
“Spesso la polmonite rappresenta l’evoluzione di una comune infezione respiratoria delle alte vie aeree e può dunque iniziare con sintomi non allarmanti, simili a quelli di una banale influenza” prosegue l’esperto. “Poi il quadro clinico peggiora: la febbre si alza e la tosse insistente non si attenua. Respirare e tossire provocano dolori al torace e anche all’addome, quando sono interessate le parti più basse del polmone. Altri segnali sono la dispnea (disagio a respirare), il respiro sibilante (specie per le forme virali), stanchezza e spossatezza, la sudorazione, l’inappetenza, la comparsa di lesioni erpetiche sulle labbra (febbre del labbro) e il catarro colorato, a volte con dentro sangue. Ci sono però anche polmoniti senza febbre”.
Come si fa la diagnosi?
“La diagnosi si fa dopo la visita medica, auscultando il petto. Per la conferma basta una semplice radiografia del torace” dice il dottore. “Gli esami del sangue possono registrare un aumento del numero dei globuli bianchi, a volte notevole. E poi ci vuole una coltura del catarro, con un eventuale antibiogramma (test che consente di definire la sensibilità a specifici antibiotici dopo aver isolato i batteri responsabili dell’infezione), per poter orientare la terapia antibiotica. Solo in situazioni particolari si ricorre alla fibrobroncoscopia, un esame endoscopico dei bronchi con broncoscopio flessibile a fibre ottiche”.
Come si cura la polmonite?
“Non basta reidratarsi e stare a riposo. La polmonite batterica si cura con una terapia antibiotica mirata, messa a punto da uno specialista, e non con il fai da te” spiega l’esperto. “Se l’organismo non risponde agli antibiotici, o ci sono complicazioni, il ricovero in ospedale deve essere tempestivo. Per le polmoniti virali si prescrivono altri tipi di farmaci, come l’aciclovir, e una terapia generale di sostegno. Guai a interrompere prima del dovuto i medicinali e a riprendere in anticipo le attività quotidiane, il lavoro e gli altri impegni, come invece Hillary Clinton sembra aver fatto”.
E come si previene?
E’ sempre il dottor Enrico Ballor a rispondere, dando consigli utili anche per prevenire altre malattie respiratorie.
– Valutare con uno specialista la possibilità di praticare la vaccinazione antipneumococcica, perché abbassa i rischi di contrarre infezioni.
– Fare la vaccinazione antinfluenzale, soprattutto se si appartiene alle categorie più a rischio.
– Evitare il più possibile gli ambienti chiusi ad alta concentrazione di persone, e in ospedali e ambulatori, perché la permanenza prolungata aumenta la possibilità di contatto con persone infette.
– Cercare di non respirare vicino a una persona che abbia tossito o starnutito, uscendo dalla “nube” di goccioline infette che le si forma intorno, per un raggio di almeno due metri. Meglio allontanarsi trattenendo il fiato per qualche secondo e riprendere a respirare in una zona più distante e sicura.
– Ricordare che lavarsi le mani con regolarità aiuta a ridurre fortemente il rischio di contrarre infezioni.
– Evitare in modo rigoroso il fumo di sigaretta e, specialmente nel caso dei bambini e degli anziani con malattie respiratorie croniche, la permanenza in ambienti fumosi. Il fumo di tabacco è un potente irritante delle vie aeree e facilita le infezioni.
– Non far rientrare a scuola un bimbo se ha avtuo la febbre prima che sia guarito del tutto: è più debole, più vulnerabile ed esposto a una “ricaduta”.
– Mantenere una dieta varia, ricca di frutta e verdura fresca, assumendo un’adeguata quantità di liquidi nella corso della giornata e prendendo periodicamente prodotti multivitaminici.
– Praticare con regolarità attività sportive, anche all’aperto, a condizione di proteggersi con indumenti adeguati. L’aria non è infettiva, i veicoli di trasmissione delle infezioni respiratorie virali o batteriche sono le persone. Per la pratica sportiva “indoor” valgono le stesse considerazioni fatte prima a proposito dei luoghi chiusi e degli ospedali
– Più volte al giorno lavare le fosse nasali con soluzione fisiologica o soluzioni saline dedicate (specie nei bambini e negli anziani), per ridurre la concentrazione di microbi in grado di infettare le vie aeree inferiori.