L’emarginazione, come è ahimè noto, avvolge molte persone per le irragionevoli ragioni più disparate. Si è troppo donne, e si chiama discriminazione di genere; si è troppo gay, ed è omofobia; si è troppo neri, ed è razzismo. Ma c’è un tipo di pregiudizio da sempre sotterraneo nella società, ma finora senza nome, secondo cui i “brutti” (chi decide poi chi lo siano è ancora da stabilire) sembra abbiano più difficoltà a trovare un lavoro o a essere promossi rispetto a chi brutto non è: il loro divario salariale rispetto ai “belli” sembra essere maggiore rispetto a quello esistente tra afroamericani e bianchi. In caso di reati minori, addirittura la legge è statisticamente più clemente con chi è bello rispetto ai colleghi umani disonesti anch’essi ma più figaccioni.
Se fino a qualche tempo fa questo modo di agire non aveva un nome e non era quindi lessicalmente individuato, adesso in America gli è stata trovata una definizione: si chiama “lookism”. Sulla traduzione in italiano attendiamo sviluppi, per ora la Crusca tace. Potremmo azzardare “apparenzismo” ma fa molto Italia Viva, “guardismo” ma evoca delle pruderie inimmaginabili, e scarterei anche un parimenti inefficace “sembrismo” che richiama più il malinteso che altro. Quale che sia il nome, sgradevole è la sua ragione d’essere e mi chiedo sempre quanto dolore personale ci sia dietro questi numeri. In un periodo storico in cui si celebra la body positivity (anche qui tradurre può essere rischioso, la positività del corpo in epoca Covid non è ben vista), è triste notare che si sia scelto di dare un nome nuovo a un malcostume che già esisteva e che nessuno per ora aveva voluto codificare. La body positivity intende celebrare i corpi “senza privilegi” per dare loro uno spazio sicuro: è un movimento moderno, nato per iniziativa di donne oversize, e perlopiù di colore, per promuovere un messaggio positivo dedicato a chi ha un fisico che non rientra nei canoni pre-definiti della “normalità”.
Ci chiediamo a questo punto noi, noi tutte, belle, meno belle, affascinanti, meno affascinanti, cosa sia normale o no. E chi lo decida. La moda? I social? Il cinema? I datori di lavoro? Forse un po’ tutti questi, uno per volta e tutti insieme. Ma, al netto delle decisioni che passano sopra le nostre teste, va detto che possiamo sentirci un giorno splendide e quello dopo orribili. Se tutto passa da un lavoro su se stesse, sui propri glutei come sul proprio equilibrio interiore, è innegabile che il nostro modo di percepirci sia legato anche a chi abbiamo accanto. Marcel Proust suggeriva di lasciare le belle donne agli uomini senza immaginazione. Ma vale anche il contrario: cosa ce ne facciamo noi di un uomo che di immaginazione non ne ha?