Ha fatto scalpore la dichiarazione di Jennifer Aniston, che a 51 anni appena compiuti ha fatto sapere di essere pronta ad avere dei figli, lei che finora si era tenuta alla larga dalla gravidanza anche – pare – per non perdere la sua invidiabile silhouette. Eppure il rapporto con i chili in aumento quando si aspetta un figlio può diventare anche una malattia. Si chiama pregnoressia, è un disturbo alimentare di cui si parla poco, ma da non sottovalutare per le possibili conseguenze sulla salute del bambino e della madre stessa.
Cos’è l’anoressia della gravidanza
Si tratta di quel comportamento che spinge a non voler mettere su chili, seguendo diete ipocaloriche e restrittive, o dedicandosi in modo eccessivo all’attività sportiva. In comune con l’anoressia c’è l’ossessione per la forma fisica e il tentativo di esercitare il controllo sul proprio peso e, più in generale, sulla propria vita. Non a caso la pregnoressia è anche definita come “anoressia della gravidanza”.
«In generale la gravidanza rappresenta un periodo particolare per ogni donna, durante il quale si vivono trasformazioni e passaggi sia fisici che psicologici: cambiano le forme, cambia anche la sessualità e si passa dall’essere “solo” donna e moglie al diventare madre, con tutto il carico di responsabilità che questo porta. Se una donna ha un proprio equilibrio, questa fase è vissuta positivamente, ma se ci sono già dei pregressi, eventuali situazioni non risolte e fragilità non affrontate possono emergere anche in questa forma» spiega Silvia Chiozzi, psicologa, psicoterapeuta, esperta di disturbi alimentari ed ex componente dell’ABA, associazione per lo studio e la ricerca su anoressia, bulimia e disturbi alimentari.
I campanelli d’allarme
«Noi utilizziamo mappe che ci aiutano a orientarci nel mondo dei disturbi alimentari, che è molto ampio e spesso non ha confini così netti. I sintomi più evidenti sono a livello estetico e fisico. La donna che soffre di pregnoressia non prende il peso necessario al corretto sviluppo del feto. Da questo punto di vista i primi ad accorgersi dovrebbero essere i medici, ma è molto importante la rete degli affetti che circonda la donna in gravidanza» spiega Chiozzi. Il marito o compagno, i familiari, le amiche possono notare comportamenti tipici di chi soffre di un certo tipo di disturbo alimentare, come l’anoressia: «Generalmente l’atteggiamento messo in atto è il forte controllo su ciò che si mangia. Ad esempio, può capitare che la donna in gravidanza conti ossessivamente le calorie ingerite o che arrivi a saltare alcuni pasti senza motivo (non per la classica nausea mattutina da primo trimestre)” spiega l’esperta. A ciò si unisce con frequenza la volontà di praticare sport in modo eccessivo. «L’attività fisica fa bene e va ricordato che la gravidanza non è uno stato di malattia. Ben venga, dunque, il movimento purché rispetti un corpo che è necessariamente più stanco e si muove con maggiore lentezza. In presenza di eccessi occorre prestare attenzione a che non si tratti della spia di un malessere psicologico, che peraltro in altri casi può manifestarsi anche in forme opposte» dice Silvia Chiozzi.
Da un eccesso all’altro
Nel confine labile tra un disturbo alimentare e l’altro, che secondo gli esperti possono col tempo mutare nella forma confermando un disagio psichico, va tenuto presente che esistono anche donne che in gravidanza di lasciano andare a comportamenti bulimici, con “l’alibi” dell’essere incinte: «Bisogna ricordare che non c’è solo il dimagrimento tra le forme in cui si manifesta un problema interiore o con il proprio corpo. Partendo dal presupposto che in gravidanza è normale prendere peso, ci sono donne che si sentono legittimate a mangiare per due. Nonostante sentano fatica nel portare un peso aumentato in modo consistente, si ripetono che lo stanno facendo per il bambino ma, una volta nato, tutti quei chili contribuiscono a sindromi depressive post partum» spiega Chiozzi.
L’età non c’entra
È difficile quantificare il fenomeno, perché si tratta di comportamenti che nella maggior parte dei casi vengono tenuti nascosti, almeno finché le condizioni di salute della donna e del bambino lo permettono. Non è neppure possibile indicare un’età più a rischio, anche se gli esperti su un punto sono concordi: «In generale l’insorgenza dei disturbi alimentari ha come momento più delicato quello adolescenziale, ma è difficile che alcune forme non conclamate e non manifestate, prima o poi non si presentino. È per questo che una donna può aver vissuto in modo apparentemente normale fino ai 35 anni o comunque all’età adulta e, una volta incinta, inizi ad avere condotte alimentari non corrette. Significa che nel suo passato c’è stato qualche conflitto non risolto, che si manifesta ora, in un momento delicato della vita come quello della maternità» spiega Chiozzi.
I rischi e gli interventi
La pregnoressia, se sottovalutata o non intercettata per tempo, può portare a conseguenze anche gravi, per la salute della donna e soprattutto del feto. Aumenta, infatti, il rischio di carenze nutrizionali che può portare a basso peso alla nascita, emorragia post-partum, malformazioni (nel caso di problemi al sistema nervoso, come la spina bifida, o scheletrico). Cresce anche la probabilità di malattie cardiache congenite o di infezioni respiratorie nei primi anni di vita del bambino. «Il primo tipo di intervento è sempre quello di correggere il comportamento alimentare, ma se non si vuole che questo trattamento rimanga superficiale occorre accompagnarlo con un supporto psicologico. Il rischio, altrimenti, è che il disagio profondo che ha portato al disturbo si ripresenti successivamente in altre forme» conclude l’esperta