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2018 – Waris Dirie, Margarita Meira e Isoke Aikpitanyi
Waris Dirie (Somalia, a sinistra) Nata in Somalia da una famiglia di nomadi, a 5 anni Waris deve affrontare l’infibulazione e 13 anni un matrimonio combinato con un uomo anziano. Ma lei scappa attraversando il deserto da sola, fino ad arrivare a Londra. Qui, scoperta dal fotografo Terence Donovan, diventa una modella di successo. Posa per il Calendario Pirelli, recita nel film 007 – Zona pericolo. Ma non può dimenticare la sua vita precedente. Decide di raccontare della la mutilazione genitale, prima in un’intervista poi nella biografia Fiori nel deserto, tradotta in 51 lingue. Dal volume prende nome la fondazione che Waris crea nel 2002, la Desert Flower Foundation. Obiettivo: informare e sensibilizzare sull’infibulazione, aiutare le donne che l’hanno subìta e impedire che vi siano altre vittime.u2028
Margarita Meira (Argentina) Nel 1991 Margarita vive il dolore più atroce che una madre possa vivere: sua figlia Susi, 17 anni, viene rapita all’uscita da scuola. La tratta di esseri umani non è un reato contemplato dal codice penale argentino, la polizia le ripete che la ragazza è andata via di casa spontaneamente. Ma lei continua a cercarla con un terribile presentimento: «Poliziotti, ufficiali giudiziari, politici… Erano loro i carnefici di mia figlia e di tante altre ragazze». Dopo 4 anni, la verità: Susi viene ritrovata morta in uno dei 1.200 “prostibulos”, bordelli illegali, di Buenos Aires. Era stata seviziata, drogata, costretta a prostituirsi. Margarita non può più salvare Susi, ma può impedire che ad altre ragazze succeda ciò che è successo a sua figlia. A Constitución, uno dei quartieri più pericolosi di Buenos Aires, fonda Madres victimas de trata. Un’associazione autogestita che offre sostegno alle vittime di tratta e alle loro famiglie: con psicologi, avvocati e investigatori (tutti volontari), aiuta i genitori a denunciare i rapimenti, cerca le giovani sparite, assiste quelle che vengono ritrovate. Oggi Margarita ospita le ragazze fuggite dai loro sfruttatori a casa sua, ma il suo obiettivo è costruire un vero centro di accoglienza per le sopravvissute alla tratta, affinché possano contare su un alloggio sicuro e un sostegno fisico, psicologico e legale durante il periodo di recupero.
Isoke Aikpitanyi (Nigeria) La famiglia di Isoke, a Benin City, è numerosa e povera: lei deve aiutare a mantenerla vendendo con la madre frutta e verdura. Per questo, quando le viene offerta la possibilità di andare a lavorare in Europa, accetta, convinta di poter finalmente migliorare la propria vita e quella dei suoi. A 20 anni arriva a Torino, ma non trova ciò che aveva sognato. Ad aspettarla c’è una “maman”, una delle protettrici che gestiscono la prostituzione nigeriana in Italia. Isoke finisce sulla strada: notte e giorno, sette giorni su sette, incinta o subito dopo un aborto. Subisce ogni genere di violenza e, quando tenta di scappare, viene quasi uccisa.u2028 «Non mi interessava più se riuscivo a vivere o morivo. L’importante era essere libera» ricorda oggi. Quando, dopo anni, riesce a fuggire, fa un’altra scelta di coraggio: aiutare le ragazze come lei. Con il sostegno di un uomo italiano, che poi diventerà suo marito, fonda l’Associazione vittime della tratta. Inizia ad accogliere alcune nigeriane ad Aosta, nella “casa di Isoke”. Presto nascono altre case in Piemonte, Lombardia, Liguria. E lei denuncia l’orrendo sfruttamento in 3 libri – Le ragazze di Benin City, 500 storie vere, Spada, sangue, pane e seme – e nel docufilm Le figlie di Mami Wata. Grazie alla sua determinazione ha assicurato una via di uscita a migliaia di giovani nigeriane destinate a prostituirsi o a essere usate come fattrici di bimbi. E ha costruito una rete di ex vittime che assistono le nuove vittime della tratta. Quest’anno ha un’altro, importante sfida davanti a sé: tornare in Nigeria, dopo 18 anni, per fermare quei viaggi della speranza che per tante si trasformano in un incubo.