La prima in Italia, nel 1967, fu la siciliana Gianna Sciclone. Oggi se ne contano una cinquantina, tra valdesi, metodiste, luterane, battiste e anglicane. Sono le “donne pastore” che appartengono alle Chiese protestanti eredi del monaco agostiniano tedesco Martin Lutero. Vestite in toga nera e sparato bianco, come l’abito da magister theologiae che indossava il padre della Riforma, predicano dal pulpito, celebrano la Santa cena (l’equivalente della Messa) e guidano chiese con pari diritti e uguali opportunità rispetto ai colleghi maschi. Rappresentano, dunque, un cristianesimo 2.0 contro un Medioevo cattolico che esclude le donne dal sacerdozio? Non è così semplice.
Sono le “eredi” degli anni ’60
Il pensiero femminista e la rivendicazione di spazi ecclesiali per le donne hanno iniziato a fare breccia nelle comunità cristiane, cattoliche e prozione di spazi ecclesiali per le donne testanti, nei medesimi “formidabili” anni ’60. E il mix di minigonna e teologia è stato dirompente tanto nelle basiliche romane quanto nei templi protestanti. Se oggi è normale che una pastora allatti i propri figli mentre guida una riunione del consiglio di chiesa o mentre insegna teologia in un’aula universitaria, le resistenze di una mentalità patriarcale non sono mancate. Ma mentre nella gerarchica Chiesa di Roma il processo è stato bloccato dall’alto, nelle Chiese della Riforma, che hanno un governo più democratico, dopo lunghe discussioni è passata l’idea che si possa servire Dio e la comunità anche se non si appartiene allo stesso sesso dei primi 12 apostoli. Si è trattato, come dice la teologa battista Elizabeth Green, di «liberare il divino dalle gabbie sacrali di una storia declinata quasi esclusivamente al maschile».
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Hanno un modo diverso di vivere la fede
Avere un clero unisex comporta un radicale cambiamento nel pensiero delle cose ecclesiastiche: se in passato anche nella tradizione protestante il pastore era una figura avvolta da un alone quasi mitico e piena di certezze indiscutibili che imponeva ai propri fedeli, l’avvento delle donne ha contribuito ad addolcire lo stile, puntando meno sull’autorità e più sull’autorevolezza ed eliminando l’idea che fare il pastore significhi esercitare un potere. «Il fatto che la donna sia entrata a far parte del ministero pastorale ha contribuito a smitizzare il ruolo del pastore e a declericalizzare la Chiesa riformata», ha spiegato lapioniera italiana Gianna Sciclone. «È stata questa la vera rivoluzione».
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La Riforma compie 500 anni
La data di nascita della Riforma protestante si fa risalire al 31 ottobre 1517, quando il monaco Martin Lutero affisse sul portone della chiesa del castello di Wittenberg, in Germania, le 95 Tesi sulle indulgenze. Lutero si scagliava contro questa pratica introdotta da Papa Leone X: lo “sconto” delle pene da espiare Purgatorio in cambio di denaro. Il dissenso con il Papa giunse fino alle reciproche scomuniche e alla divisione tra la Chiesa di Roma e i seguaci di Lutero. Altri riformatori si unirono al monaco tedesco, dando vita a un mosaico di comunità differenti, che però si riconoscono parte della famiglia protestante: luterani, calvinisti, anglicani, battisti… In Italia, la Chiesa protestante più antica è quella valdese, nata agli inizi del 1200 come movimento pauperista ad opera di un mercante di Lione, Pietro Valdo. Dichiarata eretica e perseguitata dai Papi medievali, la comunità valdese si trincerò nelle valli piemontesi e nel 1532 aderì alla Riforma.
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Donne prete: sì o no?
Le Chiese della Riforma non condividono la concezione del sacerdote come mediatore tra Dio e gli uomini: il pastore è un ministro del culto, chiamato a predicare il Vangelo. Per cui, superate resistenze più storico-culturali che dogmatiche, nel 1900 il mondo protestante ha aperto le porte al pastorato femminile. La Chiesa cattolica ritiene che, visto che Gesù scelse come successori 12 apostoli di sesso maschile, anche i successori degli apostoli (preti e vescovi) debbano essere solo uomini. Nel 1994 Giovanni Paolo II ha dichiarato questa dottrina “definitiva” e dunque non più modificabile. Papa Francesco, pur rispettando la decisione, non condivide la discriminazione nei confronti delle donne. Perciò ha nominato varie religiose o laiche in posti chiave del Vaticano. E ha creato una commissione per valutare la possibilità di ordinare le donne, se non preti, diaconesse: un ruolo esistente nella Chiesa dei primi secoli poi sparito.