Non occorrerà più volare in Inghilterra per maneggiare moda low cost fra le corsie sovraffollate di Primark, in uno dei 168 store presenti sul suolo britannico (il più celebre dei quali si trova al N° 28 di Oxford Street, a Londra).
Primark in Italia: dove e quando
Il primo punto vendita tricolore del gigante irlandese apre il 14 aprile in concomitanza con l’inaugurazione del nuovo centro commerciale di Arese, comune a nord di Milano, nell’area degli ex stabilimenti Alfa Romeo.
Dove nasce Primark
Dopo Victoria’s Secret e in anticipo su Starbucks e il primo Lego Store italiano (che avrà sede nello stesso shopping center, uno dei centri commerciali più grandi d’Europa con oltre 90mila metri quadrati e 6mila posti auto), il capoluogo lombardo dà il benvenuto a un altro marchio internazionale, nato in Irlanda nel 1969 con il nome di Penneys e già presente in 10 paesi, dall’Austria al Belgio e dalla Francia agli Stati Uniti.
Con quasi 300 magazzini in tutto il mondo, oltre 62.000 impiegati e un milione e mezzo di acquirenti ogni giorno, quello di Primark è un successo plebiscitario che ha nelle acquirenti più giovani, 15-24enni, il pubblico più collaudato.
Gli ingredienti della ricetta
Megastore fuori città, facilmente raggiungibili e di dimensioni monumentali (almeno 20-30 mila metri quadrati), affinché il flusso alle casse sia grande e incessante; personale deputato a velocizzare l’uscita dei clienti dopo l’acquisto; gestione tempestiva dell’inventario, introducendo settimanalmente il 10% di merce nuova, per invogliare i clienti a tornare con regolarità; infine costi di produzione abbattuti per via dell’impiego di materie prime a buon mercato e meccanismi seriali di confezionamento.
L’imitazione dei marchi
Piace, Primark, proprio perché propone look aggiornati a piccoli importi – da cui il nome stesso della catena, contrazione delle parole “prezzo” e “marca” – consentendo a tutti i compratori, anche i meno abbienti, di rinnovare il proprio guardaroba con un budget risicato. Lo fa imitando il prêt-à–porter dei brand più blasonati, dalle giacche militari alla Marc Jacobs ai reggiseni stile Calvin Klein, e pattuendo le migliori condizioni commerciali con oltre 600 fornitori fra Asia ed Europa.
Propone scarpe a meno di 15 euro, magliette a 3, camicie a 11. Ben dodici nuove collezioni ogni anno. E non investe sulle campagne promozionali off line ma solo nelle sponsorizzazioni via social, contando sul passaparola e puntando tutto sul web, dove garantisce la massima trasparenza sulle condizioni contrattuali e i salari dei dipendenti, le politiche tariffarie ed ecologiche, ospitando persino le foto dei clienti più à la page.
I punti oscuri
Una storia di eccellenza – se non altro in termini di percepito – cui non mancano le zone d’ombra: al colosso è toccato risarcire con 10 milioni di dollari i familiari di 581 operai di un’azienda collegata, in Bangladesh, rimasti uccisi per il crollo di un edificio che ha causato la morte, nel 2013, di 1.100 persone. E un anno più tardi si è visto costretto ad aprire un’inchiesta interna per fare luce sui casi (in tutto tre) di richieste d’aiuto rinvenute da acquirenti del marchio e cucite sui jeans Primark da operai cinesi in condizioni di massimo sfruttamento, negando l’acquisto di prodotti fabbricati in laogai (“campi di lavoro”) asiatici, e concludendo una partnership con il dipartimento di sviluppo internazionale britannico per avvallare il miglioramento le condizioni di lavoro della manovalanza tessile.
Forte della sua reputazione di “democratizzatore” della moda, sui 7mila metri quadrati dello store lombardo – affiancati dagli arcinoti Zara, H&M, KFC, Mango, Piazza Italia e Desigual – Primark raccoglierà la richiesta degli utenti di una pagina Facebook, (“Vogliamo Primark in Italia”) fondata nel 2012 e con quasi 8.000 follower, e l’entusiasmo dei tanti connazionali già clienti della catena. Scrivendo una nuova pagina del fast fashion in Italia (mentre già si vocifera di una prossima apertura anche a Firenze).