La Corte costituzionale si è espressa: il divieto di accedere alla procreazione medicalmente assistita, per le coppie gay, non è in contrasto con la Costituzione e quindi è corretto e valido. A dare notizia del pronunciamento, destinato a rimettere al centro dell’attenzione il diritto alla maternità e a sollevare un polverone, è stato un comunicato dello stesso organo dello Stato.
La Consulta si è riunita per discutere la questione di legittimità posta dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano, in relazione a due storie concrete: la legge 40 è aderente o non è aderente alla Costituzione, detta in parole povere, nel passaggio in cui proibisce a partner dello stesso sesso di avere figli con l’aiuto di tecniche mediche? La riposta è stata chiara, come sintetizza la nota ufficiale. La Corte ha superato le obiezioni, i dubbi, i rilievi. Ha dichiarato non fondate le ipotesi di illegittimità costituzionale sollevate, perché ritiene che la norma messa in discussione non vada contro i principi sanciti dalla Carta.
L’articolo 5 delle legge 40 è stato dunque considerato in linea con i dettami alla base del nostro ordinamento, anche dove stabilisce che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Le argomentazioni a sostegno della sentenza si conosceranno tra qualche settimana. Al pronunciamento potrebbe essere legato un invito a legiferare in materia, come è successo per l’eutanasia. Ma non si scappa. Nel futuro prossimo – salvo che il Parlamento non decida diversamente – le partner dello stesso sesso dovranno continuare ad andare all’estero e contare su donatori certificati, se vogliono provare a diventare genitrici in condizioni di sicurezza, pagando di tasca propria le spese sanitarie (e tutte le altre). Idem le donne single e le vedove.
La storia di Teresa e Carla
Alexander Schuster è l’avvocato trentino che, dalle associazioni radicali Certi diritti e Coscioni, segue una delle coppie per cui i due Tribunali territoriali hanno attivato la Consulta. Ha chiamato le assistite Teresa e Carla (i nomi sono scelti a caso, per tutelare la privacy). E racconta al telefono, ripetendo quello che ha scritto anche su Facebook, nel suo profilo pubblico: “Teresa può produrre ovociti, può cioè divenire madre genetica, ma il cuore non le consente di portare in grembo un bambino. Una gravidanza metterebbe seriamente a rischio la sua vita. Nella cattiva sorte Teresa è però fortunata o, almeno, pensa di esserlo: ama Carla, sua compagna di vita da molti anni. Carla sarebbe molto contenta di accogliere nel suo grembo l’embrione creato con l’ovocita di Teresa, tanto più che anche lei soffre di una patologia non curabile e non può produrre ovociti”.
Quali sono le alternative?
“Entrambe –continua il legale – da tempo vorrebbero divenire madri. L’una può aiutare l’altra e insieme, solo insieme possono superare le loro incurabili patologie riproduttive. Sanno che potrebbero andare all’estero, ma i costi sono notevoli e non si possono nemmeno detrarre dalle dichiarazione dei redditi. Sanno che coppie di amiche hanno risolto il problema facendo tutto in casa, con l’aiuto di amici o magari con l’aiuto di donatori che si ‘offrono’ su Internet a titolo gratuito. Anche a voler accettare i rischi di fecondazioni eterologhe ‘fai da te’, nemmeno questa sarebbe per loro una soluzione utile. Ma L’Italia – è l’amara conclusione – non consente a Teresa e Carla di divenire madri né individualmente né insieme come coppia” Non solo. Le norme vagliata dalla Corte costituzionale, e ora confermate, “ non permettono nemmeno di rivolgersi ad una clinica privata con spese interamente a loro carico. La legge 40 – spiega sempre l’avvocato Schuster – vieta gli accordi fra privati e limita, fino a sacrificarlo del tutto, il diritto di una donna portatrice di una grave patologia di divenire madre. O almeno di poterci provare”.
“Una sconfitta per tutte le donne”
Quanto al pronunciamento della Consulta, “l’esito era temuto, ma è prematuro fare commenti. Il significato pieno di questa decisione dipenderà dalle motivazioni. Potrebbe essere una cosiddetta sentenza monito, il che non rappresenterebbe una sconfitta, anzi. La Corte, anche se l’ipotesi mi pare remota, potrebbe invitare il Parlamento a mettere mano ad una legge non adeguata ai tempi, smantellata pezzo dopo pezzo, al punto che oramai è necessario ripensarla. Oppure potrebbe essere una sentenza che chiude categoricamente la questione e che condanna le mie clienti al loro destino, tutto italiano, negativo”. Se così fosse, come il legale per primo teme, il provvedimento sarebbe “in linea con i tempi che corrono, con chi dice che queste donne, queste famiglie, questi desideri naturali di divenire madre non esistono, che il legislatore può fare sostanzialmente come ritiene opportuno”. E si tratterebbe di “una sconfitta non solo per le coppie lesbiche, ma anche per le aspiranti mamme single. In Italia i paletti limitano tutte le donne”. L’alternativa? Far ricorso a un giudice europeo.
Arcigay: “Discriminazione ingiustificata”
Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay, è sulla stessa lunghezza d’onda. Commenta: “Sarà necessario attendere le motivazioni che hanno spinto la Corte Costituzionale a rigettare le pregiudiziali di incostituzionalità per capirne a fondo le ragioni. Ma questa sentenza non ci fermerà dal continuare la battaglia contro questa discriminazione nell’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a danno delle coppie dello stesso sesso. Un’esclusione ingiustificata, che nei principali Paesi dell’Europa occidentale è stata superata ormai da anni”.