Il 2025 è l’anno del risparmio. Con l’anno solare corrente, infatti, non solo ha visto la luce il “no buy year”, la challenge di TikTok che esorta a limitare, se non azzerare, l’acquisto di tutti i beni superflui. Ma sempre sulla suddetta piattaforma, è ora virale anche il project pan. Che cos’è? Un trend che ti aiuta a smaltire tutti i prodotti make up e skincare che hai accumulato. Si tratta di tendenze sulla scia del deinfluencing: il marketing al contrario che vuole scoraggiarti dal buttare soldi nell’ennesima seduta di shopping, più utile al tuo umore che al tuo portafogli. Vale un po’ per tutto: vestiti, scarpe, oggetti per la casa e il mondo beauty.

Così sembra che per mantenere fede ai nostri buoni propositi, in questo caso quello di risparmiare e mettere un po’ a tacere la nostra voglia di consumare, dobbiamo incasellarci nei confini dell’ennesimo trend virale. Che poi la risolverà davvero la nostra voglia di gratificarci comprando?

Che cos’è il project pan?

Hai presente quando entri in bagno e trovi cassetti e mensole invasi di prodotti beauty e ti dici: “Basta, ora finisco tutto e non compro più niente”?. Ecco questo è il project pan: un vero e proprio progetto di smaltimento. La durata può variare da un mese a un anno (per i casi più disperati che hanno davvero molte confezioni da terminare). Chiaramente la maggior parte delle adepte sono le creator che per mestiere si occupano di bellezza e quindi testano di tutto e di più. Tuttavia, al trend aderisce anche chi fa tutt’altro, ma non resiste all’acquisto dell’ultimo blush in crema o di quel lip oil di tendenza. Iniziare il tuo project pan è molto facile. Basta selezionare i prodotti che vuoi impegnarti a terminare e usarli a ripetizione finché non vedi il fondo vuoto, dall’inglese “pan” appunto.

Solo a questo punto potrai scegliere con cosa sostituire il bagnodoccia che hai appena buttato, la tua nuova cipria o il profumo che vorrai utilizzare da ora in poi. Si passa così allo step successivo: la stessa content creator che recensisce ciò che finisce, ti mostra con cosa lo rimpiazzerà. Nel suo caso potrebbe trattarsi di un prodotto che già possiede, ma probabilmente tu dovrai procurartelo. E qui sta l’inghippo. Perché se il trend di TikTok – che nasce come antispreco e sostenibile – ha l’obiettivo di aiutarti a finire ciò che si accumula nel tuo bagno, affinché poi tu possa comprare altri prodotti, siamo punto a capo. Infatti, ti ritroverai con più spazio, ma con la solita voglia di acquistare: proprio quella di cui volevi liberarti, insieme alle confezioni in esubero.

Project pan: il nostro problema è davvero (solo) terminare i prodotti?

Ora che sai cos’è il project pan, forse ti stai chiedendo se è davvero una pratica sostenibile. In principio probabilmente sì: terminare ciò che si compra e apprezzarlo a pieno per tutta la sua durata è quello che dovremmo fare sempre. Per le più disciplinate potrebbe anche funzionare: il lasso di tempo del loro project plan potrebbe bastare a far realizzare loro che in fin dei conti non hanno bisogno di molti prodotti. Eppure, il fatto che dopo il “no buy year”, ci troviamo con un’altra challenge antispreco e siamo tornati a parlare di Tsundoku – parola giapponese usata per definire la tendenza ad accumulare libri senza leggerli – sembrano suggerire che sfidarci a colpi di video non è la soluzione alla nostra voglia irrefrenabile di gratificarci con gli acquisti.

Shopping: quando è compulsivo?

Allo stesso tempo però è necessario non fare di tutta l’erba un fascio. Chi ama lo shopping infatti non è detto che lo faccia in modo compulsivo. «C’è differenza tra quando decidiamo di comprare qualcosa come frutto di un desiderio o di un bisogno e quando lo facciamo compulsivamente. In questo caso il soggetto non è padrone dell’azione, ma la compie perché sente l’impulso obbligato di farla, così da alleviare l’ansia percepita.

Mentre se sono decisore della mia scelta posso acquistare per andare incontro a un piacere o a una necessità». Spiega Andrea Crocetti – psicologo e psicoterapeuta, specialista in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e docente a contratto presso Milano Humanitas University – che aggiunge: «Il nostro cervello ha strutture e sostanze biochimiche deputate alla percezione della gratificazione. E quindi che succede? Che noi facciamo o percepiamo delle cose che ci danno piacere e può accadere che i circuiti di ricompensa si impostino su un tema specifico, come può essere appunto quello dello shopping».

Un trend è sufficiente a educarci?

Pertanto, acquistare un abito nuovo, un libro per cui non abbiamo tempo, o l’ennesimo prodotto beauty possono diventare la scintilla che accende il nostro circuito di ricompensa. Ma possedere una tipologia di vestito o aderire all’ultima tendenza make up dipende dalla cultura di riferimento in un certo luogo e momento storico. Ciò significa che possiamo educarci a ricevere gratificazione in molti modi differenti. «L’ideale sarebbe avere una varietà di sorgenti diverse di piacere. Nel caso del beauty, posso acquistare l’ultimo prodotto virale per il piacere che suscita “a pelle”, come mangiare un dolce per esempio. In questo caso parliamo di piacere edonico. E non è certo negativo.

Ma se lo stesso gesto rappresenta dei valori, come il fatto che può piacermi la storia della cosmetica, o che amo il make up perché piaceva anche a mia nonna e la ricordo con affetto, allora posiamo vivere il piacere che chiamiamo eudaimonico, cioè arricchito da uno spessore valoriale», spiega lo psicoterapeuta. Quindi, potremmo dire che la nostra esperienza d’acquisto è più totalizzante e coinvolgente se non si limita a quella botta di adrenalina che ci dà leggere che il nostro ordine è in arrivo.

Perché la gioia di testare l’ultima formula virale è completata da una passione. Anche se l’ideale sarebbe non affidare il nostro circuito di ricompensa al solo acquisto, considerato che là fuori c’è un universo di interessi da coltivare. In conclusione, il project pan può indicarti una via per smorzare la voglia di comprare. Ma come cantava Madonna in Material Girl nel 1984 “viviamo in un mondo materialista”. E oggi che possiamo scegliere di allontanarci dalle vetrine, ma non possiamo comunque eliminarle in toto dalle nostre vite (considerato che i nostri telefoni sono uno shop aperto 24 ore su 24), che la soluzione sia trasferirsi in un eremo?