«La prostituzione è una forma di schiavitù delle donne»: così il premier spagnolo Pedro Sánchez ha concluso la tre giorni di congresso del Partito socialista a Valencia, andando a toccare un argomento di cui ciclicamente si discute, in Spagna come da noi. Sánchez ha promesso di andare avanti con l’impegno a bandire la prostituzione, uno dei punti del programma elettorale del suo partito sin nel 2019. Nel manifesto la prostituzione è definita «uno degli aspetti più crudeli della femminilizzazione della povertà e una delle peggiori forme di violenza contro le donne». La prostituzione è esplosa in Spagna da quando la pratica è stata depenalizzata nel 1995: un rapporto delle Nazioni Unite del 2011 citava infatti la Spagna come la terza capitale della prostituzione al mondo, dopo la Thailandia e Porto Rico. Secondo alcune stime risalenti al 2016, sempre delle Nazioni Uniti, l’industria del sesso nel Paese vale all’incirca 3,7 miliardi di euro, mentre un sondaggio del 2009 rilevava che un uomo spagnolo su tre aveva fatto sesso a pagamento.
Attualmente, la prostituzione non è regolamentata in Spagna e non è prevista alcuna punizione per coloro che offrono servizi sessuali a pagamento di propria volontà, purché non avvengano in spazi pubblici. Tuttavia, la prostituzione o l’intermediazione tra una prostituta e un potenziale cliente è illegale. Si stima che circa 300.000 donne lavorino come prostitute nel Paese. La prostituzione è legale in altri Paesi europei tra cui Germania, Svizzera, Austria e Grecia. Da sempre il dibattito sulla legalizzazione divide l’opinione pubblica, tra i sostenitori della depenalizzazione che ritengano porti enormi benefici alle donne che ci lavorano – oltre a rendere la loro vita più sicura – e i critici che invece sostengono che, laddove è stata depenalizzata o legalizzata, ciò ha portato a un incremento del traffico di esseri umani, sfruttamento della prostituzione e altri crimini correlati.
Negli anni ’80, ad esempio, la maggior parte delle prostitute in Spagna erano di origine spagnola, ma a partire dall’inizio degli anni 2000 la maggior parte di loro sono migranti provenienti da Paesi europei poveri, dall’America Latina o dall’Africa. Spesso si tratta di donne che non hanno documenti regolari e sono perciò alla mercé del racket criminale. La questione è diventata perciò un tema politico spinoso, anche perché legato alle preoccupazioni sull’immigrazione clandestina. Tuttavia, le reazioni all’annuncio di Sánchez sono state contrastanti.
Come riporta la Bbc, alcune associazioni che si occupano di diritti delle donne si sono dimostrate favorevoli alla proposta, che non è certo nuova: «La prostituzione non è un’espressione della libertà sessuale delle donne», ha affermato APRAMP, che si batte per prevenire e sradicare lo sfruttamento sessuale, «È quasi sempre legata alla violenza, all’emarginazione, alle difficoltà economiche e a una cultura sessista e patriarcale». Altri gruppi, però, hanno sottolineato come le politiche di abolizione non abbiano storicamente funzionato. Nacho Pardo di CATS, un ente di beneficenza che fornisce sostegno alle prostitute nel Sud-est della Spagna, ha infatti dichiarato: «Se butti fuori dagli stabilimenti e dagli appartamenti in cui lavorano le persone impegnate nella prostituzione, finiranno per strada. E questo è triste, è pericoloso e rende quelle persone ancora più vulnerabili alle mafie».