Che frutta e verdura, con i loro contenuti di vitamine e minerali, abbiano un effetto protettivo contro l’invecchiamento cellulare è cosa nota da tempo. Gli studi più recenti si stanno però focalizzando sull’azione che un certo tipo di alimentazione può avere sulla neurodegenerazione delle cellule, che gioca un ruolo cruciale in molte patologie, come l’Alzheimer. Come riportato dalla rivista European Neuropsychopharmacology, uno studio svedese guidato dalla neurobiologa Suzanne Dickson dell’università di Goteborg ha appena mostrato che una dieta a base di vitamine B1, B9, B12, D ed E, insieme a magnesio, calcio, acidi grassi Omega 3 e fibre ha effetti anti-infiammatori sulle cellule neuronali, che sono alla base proprio delle malattie neurodegenerative.
Dall’intestino al cervello
«Il microbiota, dunque i batteri che abitano nell’intestino, giocano un ruolo fondamentale su moltissimi altri organi e funzioni, che in passato non si pensava avessero legami diretti. Migliaia di ricerche hanno invece dimostrato il rapporto di causa-effetto tra l’alterazione del microbiota (quindi l’equilibrio tra virus, funghi e batteri) e disturbi nello sviluppo neurocognitivo, compreso l’autismo, o malattie autoimmuni. In passato patologie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson erano attribuite esclusivamente al sistema nervoso centrale o ad altre cause: oggi sappiamo che il cibo – e dunque la sua azione a livello intestinale – sono una concausa importante nell’insorgenza. Ora occorre approfondire gli studi per capire le modalità di questa interazione» spiega Anna Rita Iannetti, medico chirurgo, esperta in neuroscienze e Pnei, la psico-neuro-endocrino-immunologia, che studia le interazioni tra il sistema nervoso centrale, quello immunitario ed endocrino. In generale sta aumentando l’importanza attribuita alla cosiddetta psicobiotica.
Dimmi come mangi e ti dirò se ti ammalerai
«La scienza ripone tanta fiducia nei nuovi ritrovati farmacologici, come le molecole che potrebbero contrastare e curare malattie come Parkinson e Alzheimer, ma non vanno dimenticati altri fattori che possono giocare un ruolo importante, a partire dall’ambiente, sia esterno che interno: nel primo caso facciamo riferimento ad antiparassitari, anticrittogamici o inquinamento ambientale. Quest’ultimo – è stato provato – è tra i fattori che alterano il microbiota e concorrono, insieme alle variazioni genetiche, all’insorgenza di alcune patologie. D’altra parte va ricordato che il 98% delle mutazioni del Dna avviene proprio su stimolo ambientale. Nel secondo caso, invece, ci si riferisce proprio all’azione positiva di alcuni nutrienti sul benessere intestinale e, di conseguenza, anche su quello mentale o fisiologico di altri organi» spiega l’esperta e co-autrice del libro Guarire con la neurobiologia (Tecniche nuove).
Prevenzione: no agli zuccheri, sì ai vegetali
La scienza ha già sottolineato l’azione tra alcuni micro/macro alimenti, come ad esempio un consumo consistente di zuccheri raffinati e la maggior incidenza di casi di iperattività e Adhd. Suzanne Dickson è andata oltre: l’assunzione di frutta e verdura fresche sembra proteggere da questi disturbi, così come dall’insorgenza di quelli legati allo spettro autistico o di malattie neurodegenerative o psicologiche. La cautela è d’obbligo e la dieta non deve essere intesa come unica “terapia”: «Ciò che mangiamo contribuisce in modo significativo all’invecchiamento neurodegenerativo, ma non è che seguendo una dieta di due mesi a base di vegetali possiamo sperare di frenare l’avanzata di malattie come l’Alzheimer. Queste patologie sono il risultato sistemico di molte cause, ma conoscere l’importanza dell’alimentazione serve come prevenzione primaria, come fattore di educazione a un corretto stile di vita che preveda anche, ad esempio, una giusta dose di movimento» spiega l’esperta.
Quando l’intestino “guarisce” le mente
Una corretta alimentazione, dunque, aiuta a mantenere un equilibrio intestinale e a ridurre possibili infiammazioni che concorrono all’insorgenza di numerose malattie, comprese quelle che interessano il cervello. La conferma di quanto l’intestino giochi un ruolo di primo piano arriva anche da altri studi: «Fino a poco tempo fa lo si riteneva un secondo cervello, oggi è provato che sia il primo, proprio grazie al microbiota. Ad esempio, il colon irritabile che è associato a uno stato di stress, e per il quale si riteneva non ci fosse “terapia” oggi sappiamo che si può curare. Lo si fa in particolare lavorando sul microbiota e sulla creazione di una mucosa intestinale grazie per esempio ai prebiotici» spiega Angelo Franzé, direttore di Gastroenterologia all’ospedale Piccole Figlie di Parma. Questi composti di fibre non digeribili alimentano i probiotici, ossia i microorganismi che agevolano la digestione e la cui mancanza è associata alla sindrome da colon irritabile. «Si tratta di una delle soluzioni per questa patologia che, oltre ad essere potenzialmente invalidante, ha ricadute pesanti sul benessere mentale e che prova lo stretto legame tra mente e intestino, sia in un senso (lo stress che fa ammalare l’intestino) sia nell’altro (l’intestino che può “guarire” la mente)» conclude il gastroenterologo.