L’argomento è poco festoso. Però credo sia giusto parlarne, dato che in genere, in tv e sui giornali, non lo si fa mai.
A cosa mi riferisco? Alla vita delle persone rimaste precocemente vedove. Il periodico francese Madame Figaro ha dedicato un approfondimento alle coppie distrutte dalla morte di uno dei coniugi: in Francia sarebbero quasi mezzo milione le persone improvvisamente sole, di cui l’80% donne.
Secondo l’Istat, in Italia nel 2011 i vedovi e le vedove di età tra i 35 e i 54 anni erano 280 mila. Mogli e mariti che in breve diventano altro e, prima ancora che abbiano avuto il tempo di metabolizzare il dolore, devono riorganizzare la loro vita, pensare ai figli, occuparsi di aspetti pratici fino a quel momento mai affrontati, provare a elaborare un progetto per sé, quando, fino ad allora, quello che c’era si declinava al plurale, cioè con il pronome “noi”.
In Francia, racconta il periodico transalpino, esistono associazioni che aiutano ad affrontare il vuoto lasciato dal partner. E che sostengono non solo chi era regolarmente sposato, ma anche chi non affronta una vedovanza semplicemente perché non ha mai voluto una cerimonia nuziale. La sofferenza è uguale; le tutele di legge, ancora no.
E qui da noi, chi perde l’amore della sua vita, fosse un marito o un convivente, dove trova aiuto? E poi, davvero ne trova? Aiutatemi a scoprire cosa si fa in situazioni di questo tipo. Ma soprattutto, aiutatemi a comprendere come si ricomincia dopo un lutto simile, quando finisce il rimpianto, in che modo si ritrova la capacità di sperare nel futuro e, volendo, anche la voglia di reinnamorarsi. Scrivetemi e raccontatemi cosa vi ha aiutato ad andare avanti. Ognuno, immagino, trova un suo metodo personale per fare i conti con l’impensato.
Ah, mio padre è morto nel 1999. Mia madre aveva 50 anni.