Insulti, aggressioni fisiche e verbali, sputi, risse. Scene poco ortodosse che vedono sempre più spesso protagonisti sugli spalti i genitori dei baby calciatori. I casi che di continuo salgono alla ribalta della cronaca sono lì a testimoniarlo, dal Nord al Sud di un’Italia che evidentemente si sta imbarbarendo. Sì, perché è grave che gli adulti diano il cattivo esempio in luoghi e contesti che dovrebbero servire ai ragazzi per socializzare, liberare la mente e allontanare le pressioni. «Una vera emergenza», come l’ha definita anche il commissario della Federcalcio Giovanni Malagò, che necessita misure atte a contenerla e una riflessione sul ruolo genitoriale e sul mondo del pallone in particolare, visto che episodi del genere sono quasi del tutto assenti in altre discipline. Che sia colpa della maggiore visibilità di questo sport e delle sue star, delle aspettative frustrate o dell’eccessiva protettività di padri e madri, il fenomeno va indagato.
Si compromette la serenità dei ragazzi e si impedisce loro di migliorare
Gli psicologi che hanno inziato a occuparsene parlano di “sindrome di Cristiano Ronaldo”, dal nome del campione del Real Madrid 5 volte Pallone d’oro, proprio perché molti dei protagonisti di questo bullismo adulto sono convinti di aver messo al mondo un campione e persuasi che, se il proprio pupillo non emerge, sia colpa di chi non ne capisce e valorizza il presunto talento. Da qui, critiche, lamentele, commenti infelici, attacchi continui a tutti coloro che si frappongono sulla strada verso il successo: allenatori, arbitri, dirigenti sportivi, giocatori e genitori avversari. Trasformando talvolta gli spalti in ring, in barba ai valori dello sport e della leale competizione. «Con il tempo abbiamo notato che i genitori di questo tipo, molto più diffusi di quanto si creda, mettono in atto un copione sempre simile» spiega Marzia Terragni, psicologa dello sport che per lo studio Calcio Profiler effettua test relazionali su baby calciatori e famiglie. «Ci sono frasi ricorrenti come “L’allenatore non capisce niente” oppure “Non perché è mio figlio ma…” e a seguire l’elenco delle sue doti e dei difetti dei compagni di squadra magari non all’altezza tecnicamente o, peggio, accusati di avere genitori che intrattengono rapporti equivoci con l’allenatore o gli pagano qualche tangente».
Il che, per quanto incredibile, a volte accade davvero e rappresenta l’altra faccia della medaglia: quella di padri e madri disposti a tutto pur di “spingere” i prori figli. In entrambi i casi, nota la psicologa, «a venire compromessa è la serenità dei ragazzi. Si perde ogni punto di riferimento e si entra in conflitto con il concetto di autorità, perché le persone a cui i ragazzi dovrebbero obbedire e alle quali delegano una parte del loro divertimento, della loro crescita e della valutazione di sé vengono scavalcate o addirittura derise e squalificate». Un meccanismo molto simile a quello che scatta a scuola quando le famiglie contestano un brutto voto dato dai professori. «Difendere a ogni costo i propri ragazzi è un errore gravissimo che non li aiuta a comprendere i propri limiti e migliorarsi» conferma Luca Vargiu, ex agente di calciatori, curatore del blog Palle, calci e palloni (s)gonfiati e autore di diversi libri critici sul calcio giovanile. «Se per il genitore la colpa è sempre del mister, difficilmente quest’ultimo riuscirà a guadagnarsi il totale rispetto dell’atleta. Anche l’avversario viene visto come un nemico e non come un contendente. C’è troppa voglia di arrivare a ogni costo e con ogni mezzo».
Si riversano sui figli il narcisismo e l’ansia da prestazione
Agli occhi dei genitori colpiti dalla “sindrome di Ronaldo”, la posta in gioco è, d’altronde, alta. Osserva Vargiu: «Molti identificano ancora il successo sportivo con la trafila fatta di soldi, mondanità e carriera garantita da dirigente, allenatore o commentatore tv una volta appese le scarpette al chiodo». Quasi la trasposizione odierna e più ricca del mitico “posto al ministero” degli anni del boom. Peccato che si tratti quasi sempre di una mera illusione: solo un ragazzo su 24.000 riesce a diventare calciatore professionista. Insomma, è inutile caricare i propri figli di stress e ansie da prestazione che il più delle volte finiscono col bruciare talento e motivazione. Meglio vivere lo sport per quello che è, un gioco, il che non vuol dire, ovviamente, rinunciare a priori a impegnarsi a fondo e in modo sano per poter inseguire i propri sogni.
«Il problema» spiega Terragni «è che il figlio è spesso un oggetto narcisistico, una parte di se stessi da esibire. Non ci si interroga sulle sue aspirazioni, ma si dà per scontato che coincidano con le proprie e se subisce un torto è come se a subirlo, amplificato, fosse il genitore in prima persona». In che modo uscirne? I primi passi li dovrebbero fare papà e mamma, tenendo un profilo più basso fuori dal campo. In Italia il resto è lasciato, per ora, al fai-da-te delle società giovanili. In Inghilterra le “Silent Sundays” , le domeniche silenziose, prevedono che i sostenitori dei ragazzi restino zitti. Mentre in Svizzera è stata introdotta una figura addetta al fair play sugli spalti selezionata proprio tra i genitori, che in questo modo vengono responsabilizzati. Validi esempi che forse varrebbe la pena seguire anche da noi.
Gli episodi eclatanti
Olmo (Cuneo), aprile 2018 Dopo un violento diverbio tra i genitori di 2 bambini classe 2010, una società ha deciso di svolgere gli allenamenti a porte chiuse.
Cosenza, marzo 2018 Rissa in tribuna fra 2 padri durante una partita del campionato Giovanissimi. Per entrambi un anno di Daspo.
Pavullo (Modena), febbraio 2017 Un papà-tifoso sferra 2 pugni ai genitori di 2 avversari del figlio nella categoria Allievi. Partita sospesa e reazione commovente del bimbo che, in lacrime, chiede scusa al pubblico.
Pietrasanta (Lucca), gennaio 2017 Sette Daspo ad altrettanti genitori protagonisti di una maxirissa durante un match della categoria Giovanissimi.
Fiano Romano (Roma), ottobre 2016 Nonostante un cartello incitasse al tifo civile, l’arbitro di un incontro di Promozione viene aggredito dai ragazzi incitati dai genitori in tribuna.
I 4 consigli di “buon tifo” della psicologa Marzia Terragni
→ Sprona tuo figlio a dare il meglio, senza esagerare, e non sminuire mai il valore degli altri.
→ Rispetta allenatore e arbitro e imponi a tuo figlio di fare lo stesso. Punisci i suoi scatti d’ira, ma solo lontano dal campo e dopo che lo ha fatto il mister.
→ Lascia che tuo figlio segua le proprie inclinazioni. Sappi distinguere tra i suoi e i tuoi desideri.
→ A fine partita nessuna critica e 2 sole domande: «Ti sei divertito?» e «Hai fatto del tuo meglio?».