C’è un preciso momento, dicono gli studiosi, in cui le mamme iniziano a non fidarsi dei papà: speriamo si ricordi di farle il bagnetto, cosa gli preparerà per cena, chissà come la manderà vestita a scuola? Quello è solo l’inizio di una progressiva perdita di fiducia in ogni ambito della gestione domestica: la lavastoviglie non sa riempirla, il bucato faccio prima a farlo io, in terra non pulisce a fondo…
Se state pensando che a casa vostra funzioni diversamente e che vostro marito sia più bravo di voi con figli e faccende, sappiate di appartenere
alla minoranza fortunata d’Italia. Nell’ultimo censimento Istat, 6 donne
su 10 hanno detto di ritenere gli uomini meno capaci di svolgere attività domestiche. E il 53,7% degli uomini si dichiara d’accordo con loro.
Quindi il problema esiste, anche se non vi tocca personalmente.
Ebbene, il momento in cui tutto comincia non è quando ci si sposa o quando si va a vivere insieme. Ma quando nasce il primo figlio.
Più precisamente, in quei lunghi mesi in cui, nei Paesi industrializzati,
la mamma ha il diritto di restare a casa col bambino. È lì, osserva
la politologa ed esperta in studi di genere Sandra Frey, che le donne iniziano a considerarsi più legittimate e più esperte nella gestione della casa e del figlio: «L’equilibrio nella suddivisione dei lavori domestici conquistato fino ad allora nelle coppie in cui entrambi lavorano si rompe per la prima volta». La madre stabilisce la nuova organizzazione e si fa carico delle faccende domestiche, mentre il padre si sente un apprendista, con poco tempo a disposizione, un eterno principiante, che si inchina all’esperienza della compagna, faticando a trovare il proprio posto.
Sono solo pochi mesi, durante i quali però si disegnano gli anni a venire.
Ecco perché le decisioni politiche sul congedo parentale sono essenziali. Stabilendo le regole e i tempi con cui i genitori possono rimanere a casa per prendersi cura del neonato, uno Stato disegna la forma futura della famiglia, incide sulle scelte lavorative di entrambi i genitori, contribuisce a modificare l’immaginario dei bambini che crescono in quella casa e che saranno gli adulti di domani. Il congedo di paternità non è altro che un’opportunità offerta agli uomini di partecipare alla progettazione della famiglia e alle donne di non sentirsene uniche responsabili.
Alla luce di questo, capiamo quanto siano insignificanti – benché importanti a livello simbolico – i 7 giorni di congedo obbligatorio per i padri in Italia. Capiamo altresì quanto sia evoluta la Svezia, che già da anni stabilisce che dei 480 giorni di congedo previsti per i genitori, i 60 dedicati agli uomini vengano persi se non usufruiti da loro. Non ci crederete, ma oggi c’è una legge in materia ancora più evoluta di quelle degli evolutissimi Paesi nordici. Ed è stata approvata nella mediterranea Spagna. Dove dal 1° gennaio scorso, il congedo parentale di mamma e papà è uguale: 6 settimane in cui sono obbligati a stare a casa insieme al neonato. E altre
10 settimane di cui possono usufruire più liberamente nel primo anno
di vita del bambino. Tutte pagate al 100% dallo Stato. E non trasferibili dall’uno all’altro. Si può cambiare una cultura attraverso una
legge? A volte sì, se questa è scritta con profonda cognizione del tema.