Valeria aveva 56 anni e la voglia di riprendersi la libertà e il futuro. L’ex marito, geloso e incapace di accettare la separazione, l’ha investita con la macchina e l’ha uccisa. Mehmed di anni ne aveva solo 2. Piangeva spesso, come tutti i bambini. Il padre gli ha bruciato i piedi con un accendino e lo ha picchiato a morte, perché si lamentava per il dolore. Karl e Francesca, lui 82 anni e lei 76, stavano insieme e condividevano anche il lavoro. Li hanno trovati a letto, senza vita. Probabilmente la donna ha fatto ingerire al marito una dose letale di farmaci e si è suicidata con una overdose di medicinali. E poi Fjoralba, Sara, il piccolo Gabriel e Leonardo, un altro bimbo. E, ancora, Anita, Roberta, Anna, Elisa.
L’istituto di ricerche Eures ha analizzato le storie e i dati degli omicidi registrati in Italia nel 2018 e nei primi mesi del 2019 e ha messo in evidenza le tendenze e i fenomeni su cui riflettere. Nel 2018 un delitto su due (49,5 per cento) è stato commesso in famiglia. Le donne restano le persone più a rischio. E cresce il numero dei figlicidi.
Le donne e la violenza dei partner
Nel 2018 – hanno ricostruito i ricercatori – il 49,5 per cento degli omicidi volontari ha avuto come contesto la sfera familiare o affettiva (163 le vittime, sulle 329 complessive, quasi una al giorno). Si tratta della percentuale nazionale più alta mai registrata, stando ai risultati delle comparazioni. Nel corso dell’anno sono state uccise 130 donne. L’83,8 per cento (109) ha trovato la morte per mano di un parente, un marito, un fidanzato o un ex.
E non solo ragazze, mogli, compagne. Nello stesso periodo, sempre in ambito domestico o familiare, ci hanno rimesso la vita 54 uomini, meno “visibili”, rimasti in genere ai margini dell’attenzione (fatta eccezione per i bambini e per le storie rilanciate in tv, in programmi a tema).
L’incidenza delle vittime femminili sul totale degli omicidi volontari – attestata al 29,6 per cento nel periodo 2000-2018 – è scesa dal 38 per cento del 2016 al 35,6 per cento del 2017 ed è salita fino al 39,5 per cento l’anno scorso. In termini assoluti, le donne uccise sono state 156 tre anni fa, 141 nel 2017 e 130, come detto, l’anno scorso. Un trend in calo, per ora confermato anche dai primi dati del 2019: tra gennaio e maggio si sono contate 35 vittime di genere femminile, il 18,6 per cento in meno rispetto alle 43 dello stesso periodo dell’anno precedente. In passato andò peggio, perlomeno in alcune zone: a Trieste, come raccontano i manuali di criminologia, tra il 1981 e il 1990 le donne furono il 62,5 per cento delle persone uccise. A Genova tra il 1961 e il 1990 si arrivò al 41,3 per cento, a Firenze al 41,1 per cento in un arco di tempo simile.
I delitti in famiglia da Nord a Sud
Le vittime di omicidi familiari, a prescindere dal sesso, nel 2018 sono aumentate al Sud (+14 per cento, da 57 a 65 vittime) e al Centro (+7,1 per cento, da 28 a 30). Al Nord il numero assoluto è sceso (-16 per cento, passando da 81 a 68). Al Sud, leggendo i dati in rapporto alla popolazione, è attribuito il tasso di rischio più alto (3,14 vittime per milione di residenti), seguono Centro (2,49) e Nord (2,45).
Il primato negativo della Lombardia
A livello regionale, la maglia nera è della Lombardia, con 29 omicidi in famiglia nel 2018 (+11,5 per cento rispetto ai 26 del 2017) e il 18 per cento del fenomeno totale concentrato nel proprio territorio. Seguono il Lazio (17 vittime nel 2018 contro le 10 del 2017), la Campania (17 vittime nel 2018, stabili rispetto al 2017), la Sicilia (16 vittime, 4 in più rispetto all’anno precedente) e la Calabria (11 nel 2018 rispetto a 5 nel 2017). Tra le province è Roma a conquistare il poco ambito record degli omicidi in famiglia nel 2018 (11, pari a +57,1 per cento rispetto sul 2017, 6 dei quali nella capitale). Nelle posizioni successive, in ordine decrescente, Caserta e dintorni (9), Monza e la Brianza circostante (8), le province di Torino e Catania (7).
Anche gli over 65 sono a rischio
Gli assassini in famiglia, altro aspetto evidenziato dallo studio, colpiscono in misura sempre più frequente gli anziani. I morti ammazzati con più di 65 anni l’anno scorso hanno superato il 30 per cento del totale (49 persone sulle 163 uccise, pari per la precisione al 30,1 per cento), contro il 18 per cento del 2000. È salita contestualmente l’età media delle vittime, passata da 45 anni nel 2000 a 48,8 anni nel 2018. E sono cresciuti i delitti “pietatis causa”, dettati cioè dalla decisione dell’autore di porre fine a una condizione di disagio estrema della parte debole e sofferente (grave malattia, demenza senile, non autosufficienza associata all’età avanzata), da lui ritenuta insostenibile (23 casi nel 2018).
Quando le coppie scoppiano
All’interno degli omicidi in ambito familiare è nella relazione di coppia (in essere o passata) che continua a verificarsi il maggior numero di aggressioni letali: nel solo 2018 sono state 80 le persone ammazzate da coniugi, ex coniugi o ex partner, pari al 49,1 per degli omicidi in famiglia. Sempre in netta prevalenza le donne (il 91,3 per cento, pari a 73 decessi volenti) rispetto agli uomini (7, cioè l’8,7 per cento).
Relazioni violente tra genitori e figli
Anche la relazione genitore/figlio è caratterizzata da una crescente problematicità, troppe volte con esiti irrimediabili: nel corso del 2018 si sono contati 31 figli uccisi dai genitori nel 2018, con un aumento del 47,6 per cento rispetto all’anno precedente (erano 21 le vittime nel 2017). I 31 figlicidi censiti sono stati attribuiti in 20 casi ai padri (pari al 64,5 per cento) e in 11 casi alle madri (35,5 per cento). La presunta responsabilità delle mamme è stata esclusiva nelle 4 uccisioni di figli con meno di un anno, scendendo al 40 per cento nella fascia di età successiva (2 figli di 1-5 anni uccisi dalla madre e 3 dal padre), al 33,3 per cento nella fascia 6-13 anni (2 a fronte di 4 figli uccisi dai padri) e attestandosi al 18,8 per cento nei figlicidi degli over 13enni (3 sui 16 complessivamente compiuti).
Ecco i dati dei primi mesi 2019
L’Eures ha analizzato anche i dati, provvisori, dei primi 5 mesi del 2019. A spiccare è il quasi raddoppio, in percentuale, delle vittime di genere maschile. Valutazioni più approfondite si potranno fare solo più avanti, con una base temporale e numerica meno limitata. Con un campione così ridotto, senza nulla togliere alla gravità delle azioni criminali e al rispetto delle vittime, le oscillazioni statistiche sono da valutare con accortezza.
Tornando al periodo più recente, l’andamento degli omicidi in famiglia tra gennaio e maggio 2019 è improntato al rialzo (+10,3 per cento rispetto allo stesso periodo 2018, da 58 a 64 vittime): più di metà delle uccisioni, sfondata la fatidica quota 50 (con il 51,2 per cento, per la precisione), è avvenuta tra le mura di casa o in un ambiente che si pensava sicuro. Nel breve periodo sono aumentate in particolare le violenze irrimediabili all’interno della coppia (+10,3 per cento, da 29 a 32 morti), i genitoricidi (+28,6 per cento, da 7 a 9 casi) e i fratricidi (5 vittime nei primi 5 mesi del 2019 contro 3 nel 2018).
In aumento le vittime maschili in ambito familiare
Negli stessi mesi di quest’anno sono aumentate in modo assai significativo le vittime “domestiche” di genere maschile, quasi raddoppiate (da 15 a 29, pari a +93,3 per cento). Risultano in calo le vittime femminili, sempre prevalenti (da 43 a 35). Quanto al totale degli omicidi volontari di inizio 2019 (dati provvisori), nel raffronto con l’avvio del 2018 si conferma la complessiva flessione del fenomeno già rilevata negli ultimi anni (-10,7 per cento, con le vittime scese da 140 a 125).
Le armi da fuoco e i possibili rischi
Anche nel 2018 l’arma da fuoco è stata lo strumento più utilizzato negli omicidi in famiglia (65 vittime, pari al 39,9 per cento del totale, con una prevalenza significativa su coltelli e forbici, usati in 40 casi in tutto, cioè il 24,6 per cento). L’incidenza di pistole e affini è risultata molto superiore alla media dell’intero periodo 2000-2018 (1.139 vittime, pari al 32,2 per cento), con un significativo incremento in rapporto al 2017 (+97 per cento rispetto alle 33 vittime dell’anno precedente). In almeno il 64,6 per cento dei delitti domestici con un’arma da sparo – stando alle notizie pubblicate da giornali e siti ed elaborate dai ricercatori dell’Eures – il revolver, la semiautomatica o il fucile erano a disposizione “legalmente”: l’assassino aveva il porto d’armi (in diverse vicende per motivi di lavoro) o l’autorizzazione alla detenzione, a volte per uso sportivo. In particolare le armi da fuoco hanno rappresentato lo strumento principale di morte nei figlicidi (51,5 per cento delle vittime) e negli omicidi di coppia (36,3 per cento, tutti i casi con vittime femminili).
“Più controlli sulle pistole tenute in casa”
Niente di nuovo sotto il sole. Se non in prospettiva, in negativo. “Servirebbero controlli più accurati sul possesso delle armi – sottolineano i ricercatori dell’Eures – soprattutto in presenza di situazioni stressanti o comunque ‘a rischio’ (ad esempio una separazione o la grave malattia di un familiare stretto)”. Il timore di altri osservatori è che la nuova legge sulla legittima difesa spinga ancora più persone ad armarsi, con una diluizione di verifiche e accertamenti.
La parola all’esperta
Isabella Merzagora, presidente della Società italiana di criminologia e docente della Università degli Studi di Milano, conferma: “In generale gli omicidi sono in diminuzione. Una tendenza consolidata, in Italia e nei Paesi con caratteristiche sociali, economiche e culturali simili. Si riducono i delitti maturati in altri contesti, ad esempio la criminalità organizzata. ‘Resistono’ e si vedono di più gli omicidi in famiglia, per i quali da qualche anno c’è una maggiore attenzione. Sono lo ‘zoccolo duro’, difficile da scalfire. Va anche detto che rispetto a decenni fa – continua l’esperta – anche i femminicidi sono calati, nonostante si possa avere una percezioni diversa”.
Nuove coppie e nuove problematiche
A colpire la professoressa, che di reati contro le donne e di prevenzione si occupa da lungo tempo, sono i figlicidi e in particolare quelli commessi dai padri non biologici, i nuovi compagni delle madri naturali delle piccole vittime. Il pensiero va a Mehmed, Leonardo, Gabriel. “È uno dei fenomeni emergenti sui quali si dovrebbe riflettere. Questi uomini non hanno chiarito o non hanno capito quale dovrebbe essere il loro ruolo all’interno della famiglia, un ruolo comunque paterno, non solo di relazione di coppia con un donna. Le mamme che uccidono i figli – prosegue Merzagora – purtroppo ci sono sempre state e ci saranno ancora. Entrano in gioco fattori psicopatologici, anche se non sempre, soprattutto quando si tratta di neonati. La frequenza della malattia mentale, a cominciare dalla depressione post partum, è piuttosto alta”.
Neonati uccisi e numeri oscuri
Altra considerazione: “Dalle statistiche resta fuori un numero oscuro di figlicidi, imponderabile. Penso alle madri costrette a liberarsi dei figli buttandoli nei cassonetti. Sfuggono alle rilevazioni anche le donne sfruttate con gravidanze inaspettate, alle quali poi pongono rimedio, diciamo così, i ‘protettori’”.
“Più attenzione per le persone anziane”
La professoressa pone l’accento su un ulteriore fenomeno, emerso anche dalla ricerca Eures: l’uccisione di persone anziane. “Anche in questo ambito credo ci sia un numero oscuro che sfugge. Ma il tema non mi pare al centro delle preoccupazioni. Invece dovremmo iniziare ad occuparcene di più e meglio, se non altro perché la popolazione di età avanzata ha raggiunto tassi elevati ed è destinata ad aumentare ancora”.