Sono tre i vaccini anti Covid che potrebbero essere disponibili a breve. Dopo gli annunci di Pfizer e Moderna, anche AstraZeneca-Oxford ha annunciato la fine della sperimentazione tra i laboratori dell’università britannica e quelli di Pomezia, in Italia. Ma che differenze ci sono tra loro? Quali sono le modalità di somministrazione, l’efficacia, il principio su cui si basano e il costo?

Quanti e quali vaccini anti Covid

Sono 5 i vaccini principali ritenuti alle fasi finali di sperimentazione o già disponibili: quello della tedesca Pfizer in collaborazione con la statunitense BionTech; quello dell’americana Moderna, quello di AstraZenecaOxford a cui lavorano i ricercatori inglesi e gli italiani di Pomezia; il vaccino cinese CoronaVac prodotto dalla Sinovac, già somministrato, e infine quello russo Sputnik V, prodotto dal Gamaleya Research Institute of Epidemiology and Microbiology.

L’efficacia dei vaccini

A distanza di pochi giorni Pzfizer ha annunciato un’efficacia del 95%, Moderna del 94%. Entrambe le case produttrici hanno ultimato la fase 3 di sperimentazione, rispettivamente su 43mila e 30mila soggetti. Resta da chiarire se, come avviene per gli altri vaccini come l’antinfluenzale, l’efficacia sia inferiore negli anziani a causa di una minore risposta anticorpale: il vaccino di Moderna, infatti, sembra particolarmente efficace negli under 55. Intanto, AstraZeneca-Oxford, che il 18 novembre aveva pubblicato sulla rivista The Lancet i risultati ottenuti al termine della fase 2, ha annunciato di aver raggiunto un’efficacia 70%, frutto della media tra due diverse modalità di somministrazione. In un caso (90% di efficacia e massima tollerabilità per gli anziani) si prevede l’inoculazione di mezza dose e un richiamo con una dose completa dopo un mese. Nell’altro caso (62% di efficacia) sarebbero somministrate due dosi piene a distanza di 30 giorni.

Del cinese CoronaVac non esiste documentazione ufficiale circa l’efficacia, anche se le prime dosi sono già state somministrate senza concludere la fase 3, che si sta svolgendo in Brasile, Indonesia e Turchia. Infine, lo Sputnik V, approvato dal governo di Mosca ancora prima che iniziasse la fase 3, è stato dichiarato efficace al 92%.

Quando saranno pronti

Escludendo i vaccini cinese e russo, Pfizer e Moderna sarebbero in grado di produrre entro la fine del 2020 le prime dosi di vaccino (circa 15/20 milioni di dosi per ciascuna azienda), già prenotate da molti Paesi compresa l’Unione europea (e l’Italia). AstraZeneca, invece, potrebbe commercializzare 200 milioni di dosi entro fine anno.

Come è stato possibile fare così in fretta

Secondo gli esperti, si è riusciti ad arrivare in tempi così rapidi ai primi vaccini grazie alla collaborazione all’interno della comunità scientifica e sanitaria, e soprattutto agli ingenti investimenti economici: basti pensare che la sola Moderna ha ricevuto 2,4 miliardi di finanziamento dal governo americano, condividendo la fase di sviluppo con il National Institutes of Health. Un altro aspetto riguarda le tecniche innovative utilizzate, come quella che sfrutta il cosiddetto RNA messaggero.

«Il motivo principale della rapidità è proprio questo, il ricorso a un approccio nuovo rispetto ai vaccini tradizionali, come nel caso dell’RNA messaggero, che ritengo ci consentirà presto di disporre di altri vaccini semplici, a basso costo e più sicuri degli attuali» spiega il prof. Massimo Clementi, docente di Virologia e Microbiologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele.

Insomma, nessuna fase sarebbe stata saltata o accorciata? «Direi di no. In realtà sono state sovrapposte le fasi di validazione clinica e di produzione. In altri termini, i produttori hanno già stoccato le prime dosi di vaccino, quando ancora il processo di validazione non era concluso. Prendendosi con ciò un bel rischio, perché se per qualche motivo la sperimentazione fosse stata interrotta, sarebbero stati gettati al vento molti soldi. Questa sovrapposizione ha fatto però guadagnare tempo prezioso per l’arrivo in farmacia dei vaccini» aggiunge l’esperto. Ma in cosa consiste la tecnica che sfrutta l’RNA messaggero, usata da Pfizer e Moderna, e il vettore virale, impiegata invece da Astra-Zeneca?

Tecniche differenti per vaccini differenti

Pfizer e Moderna stanno sviluppando vaccini che si basano sulle caratteristiche del RNA messaggero (mRNA). Semplificando al massimo, con il vaccino si introduce un gene sintetico che stimola la produzione della proteina Spike, vale a dire quella a cui si “aggancia” il coronavirus per entrare nelle cellule, che a sua volta induce alla produzione di anticorpi, proprio come se si fosse in presenza del virus vero e proprio. Nei vaccini tradizionali, invece, si somministrano proteine purificate del virus stesso o il virus in forma inattiva o attenuata (cioè non in grado di causare la malattia), che stimolano il sistema immunitario nella produzione di anticorpi.

Con i nuovi vaccini anti Covid, inoltre, si potrà anche modificare rapidamente il frammento di RNA in caso di mutazione del virus Sars-Cov2, in modo da disporre sempre di un vaccino efficace.

L’approccio di AstraZeneca-Oxford, invece, si basa sull’uso di un vettore non infettivo, in particolare del virus del raffreddore, che solitamente colpisce gli scimpanzé, reso innocuo per l’uomo. Al suo interno è stato inserito il materiale genetico della proteina Spike che, analogalmente a quanto avviene con i vaccini Pfizer e Moderna, stimola il sistema immunitario.

I controlli dopo la distribuzione

Come per i vaccini tradizionali, anche in questi casi i protocolli di sicurezza farmacologica internazionali prevedono una fase 4 di monitoraggio post distribuzione. Secondo gli esperti, se i vaccini arrivano a ottenere le autorizzazioni dagli enti preposti (Food and Drug Administration negli Usa e European Center for Diseases Control and Prevention in Europa) gli effetti collaterali possibili sono limitati a quelli di qualsiasi altro vaccino, dunque possibile dolore nel punto di iniezione per qualche giorno, febbre, leggero mal di testa, escludendo quindi eventuali conseguenze gravi.

Conservazione e distribuzione

Altre differenze riguardano le modalità di conservazione e trasporto. Il vaccino Pfizer, infatti, deve essere mantenuto a – 80°C, il che rende più difficile la distribuzione e lo stoccaggio presso i presidi sanitari. Le dosi di Moderna, invece hanno il vantaggio di poter essere conservate per 30 giorni a temperature tra i 2°C e gli 8°C, mentre per lo stoccaggio a lungo termine previsto un massimo di 6 mesi a -20°C. Per AstraZeneca saranno sufficienti tra i – 4° e i – 8°C, come per il vaccino cinese (non ci sono informazioni ufficiali circa quello russo).

Come e quando saranno somministrati

Le prime dosi del vaccino Pfizer (3,4 milioni) saranno destinate prioritariamente a operatori sanitari e Rsa, Residenze Sanitarie Assistenziali. Si tratterà di 1,7 milioni di persone, a cui il vaccino sarà somministrato entro fine gennaio: occorre, infatti, una doppia dose per ciascun soggetto. Per Pfizer sarà iniettata a distanza di 3 settimane l’una dall’altra, mentre nel caso di Moderna il richiamo avviene dopo 28 giorni. Entro settembre del 2021 si conta di poterlo offrire a tutta la popolazione, su base volontaria e tramite una campagna di circa 9 mesi, condotta su larga scala e che, secondo il Commissario Domenico Arcuri, potrà prevedere anche i drive-through come per i tamponi, iniziando «dalle persone con un elevato livello di fragilità».

Intanto le Regioni hanno dovuto indicare entro il 20 novembre le necessarie attrezzature idonee per la conservazione sul proprio territorio, mentre entro il 23 novembre hanno comunicato quali presidi ospedalieri e chi, tra il personale sanitario, saranno interessati dalla distribuzione. Sempre il 23 novembre è stato anche ultimato il bando per reperire siringhe e aghi per le iniezioni del vaccino dal momento che, come ricordato da Arcuri, «le tipologie di siringhe sono almeno tre e le misure degli aghi almeno sei».

Il patentino e l’immunità di gregge

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha indicato come obiettivo l’immunità di gregge, ma senza ricorso all’obbligatorietà, bensì grazie a una grande campagna di sensibilizzazione. «Questo è l’obiettivo. E occorrerà arrivare a immunizzare il 70% della popolazione nazionale. Sarà un bello sforzo, anche considerando che ogni soggetto vaccinato dovrà ricevere due dosi a distanza di 15 giorni.» commenta il professor Clementi.

Il costo delle dosi

Secondo le prime indicazioni il vaccino di Pfizer costerebbe 12,60 euro, Moderna circa 21 euro, mentre secondo il Financial Times per AstraZeneca le prenotazioni da parte dell’Unione europea sarebbero state fatte su un prezzo di base di 4 dollari (meno di 3 euro), con una riduzione dovuta al fatto che i vaccini a mRNA sviluppati da Pfizer e Moderna sono più costosi da produrre. A influire ci sarebbero anche i tempi di produzione, inferiori per le prime due case produttrici, e i quantitativi ordinati. Quanto alla cinese Sinovac Biotech Ltd., ha già commercializzato il proprio vaccino (in due dosi) a 60 dollari, mentre i leader del G20 si sono impegnati ad assicurare un’equa distribuzione dei vaccini nel mondo, a prezzi accessibili per tutti. Per questo la Fondazione Gates mira a ridurre fino a 3 dollari i costi delle dosi nei paesi meno sviluppati.