Una bella storia quella di Abhijit ed Esther. Lui indiano, lei francese. Si conoscono al Mit di Boston, sono due giovani dottorati, partono in giro per il mondo con la loro macchina fotografica per studiare i poveri della Terra. Quei 700 milioni di dimenticati, ritenuti senza speranza. Cercano di capire perché non si vaccinano e non vanno a scuola anche quando potrebbero. A un certo punto, i due studiosi si innamorano, diventano una coppia di lavoro e di vita. Un amore baciato da successi accademici, due figli e un premio Nobel per l’Economia, vinto quest’anno.

La loro storia ci proietta in un presente che siamo felici di abitare. Nel quale possiamo ascoltare con relativo distacco la storia di Mileva, brillante matematica che portò avanti le ricerche del marito Einsten senza mai firmarne una. Il loro è un mondo lontano, da cui ci siamo tirati fuori.

Eppure, mentre cerco dettagli sulla favola moderna di Abhijit ed Esther, mi imbatto in un pezzo del Corriere della Sera, in cui la giornalista, intervistando una cara amica della coppia di studiosi, le porge la fatidica domanda sulla “conciliazione” familiare. E pensa bene di chiederle come faccia lei, e soltanto lei, Esther, a gestire lavoro e figli. La risposta non sorprende: i due fanno squadra, si alternano nelle missioni sul campo.

È la domanda, però, che ci riscaglia bruscamente in un presente che forse, in Italia, non è così luminoso come a Boston. In questa propaggine a sud della vecchia Europa, siamo pronti a riconoscere il diritto-dovere di una coppia a dividere i meriti del successo in parti uguali. Ma non ancora a cogliere la condizione affinché ciò avvenga. Quella parità profonda che si costruisce nel privato, fuori dalla vista degli altri e che necessita un grande sforzo culturale per domare l’istinto primordiale che ci fa pensare alla cura come compito primario o esclusivo della madre.

Quando ho sollevato la questione su Twitter, qualcuno si è stupito che fosse una giornalista donna a fare una domanda del genere. Io no. Probabilmente un uomo non se lo pone neppure il problema della “conciliazione”, mentre una donna, in Italia, vive ancora un’emancipazione che viaggia a due velocità, a seconda che lei sia fuori o dentro le mura della sua casa.

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