Con le ultime disposizioni, cambiano i protocolli relativi alle quarantene (e ai tamponi) in caso di contatti con persone positive al virus Sars-Cov2. Gli effetti sono immediati e riguardano la possibilità di uscire, senza necessità di rispettare un periodo di isolamento. Questo ha ripercussioni anche sul lavoro. Ci sono delle differenze, però, tra vaccinati, guariti da meno di 4 mesi e non vaccinati. Ecco quali sono.

La quarantena da contatto non è più “malattia”

Con l’inizio del 2022 il contatto con una persona positiva non è più considerato equiparato a “malattia”, quindi non è più previsto un indennizzo da parte dell’Inps per stare a casa dal lavoro nei giorni di isolamento. Questo perché viene meno, per i vaccinati con almeno due dosi, la necessità di rispettare la quarantena.

La misura era stata prevista a marzo 2020 dal governo Conte con il primo decreto Cura Italia. Interessava i lavoratori venuti a contatto con un positivo che non potevano svolgere il loro lavoro in smart working o da remoto. L’indennizzo è stato riconosciuto solo fino al 31 dicembre 2021, a fronte di un apposito stanziamento che però non è stato rifinanziato.

Vaccinati, non vaccinati e guariti: le differenze

A livello pratico, l’istituto di previdenza non pagherà più alcun indennizzo a nessuno. «Chi ha completato il ciclo vaccinale con due dosi o anche con dose booster, però, non dovrà osservare un periodo di isolamento, ma potrà continuare a uscire e a recarsi regolarmente al lavoro, indossando una mascherina Ffp2. Lo stesso varrà per chi è guarito da malattia Covid da meno di 4 mesi (120 giorni)» spiega Antonello Orlando, esperto della Fondazione Studi Consulenti del lavoro. Chi non è vaccinato, invece, non potrà uscire né raggiungere ovviamente la sede di lavoro. Per stare a casa e se non si può lavorare da remoto, dal 1° gennaio 2022 si deve fare ricorso a permessi retribuiti o a giorni di ferie, per non vedersi ridurre lo stipendio.

I tre tipi di quarantena

Il motivo è chiaro: oggi sono disponibili i vaccini, che hanno permesso di limitare le forme gravi di malattia Covid. Da marzo 2020 a oggi, infatti, le cose sono molte cambiate. La quarantena, che inizialmente durava almeno 14 giorni, si è progressivamente ridotta. In particolare, secondo le nuove norme in caso di contatto stretto o ad alto rischio con un positivo al Covid, come stabilito dal decreto del 30 dicembre 2021, esistono tre protocolli differenti.

Il primo riguarda persone con dose booster o con vaccinazione completa da meno di 120 giorni (4 mesi), asintomatiche: per loro non è più prevista la quarantena, ma l’autosorveglianza, con obbligo di mascherina Ffp2 fino al decimo giorno dopo l’esposizione al contatto positivo. Al quinto giorno va fatto un tampone con esito negativo.

Il secondo caso riguarda chi è in possesso di Super Green Pass (guarito o vaccinato) da oltre 4 mesi: deve osservare una quarantena di 5 giorni (prima erano 7), dopo i quali può uscire se ha un tampone negativo.

Infine, per i non vaccinati continua a essere in vigore una quarantena di 10 giorni, dopo cui occorre un tampone con esito negativo.

E se il figlio è in quarantena?

Se l’indennizzo per coprire la quarantena da contatto con positivo di fatto scompare, non è così nel caso di quarantena dei figli. «I lavoratori che fossero costretti a stare a casa perché i figli minorenni devono osservare un periodo di isolamento per malattia Covid o in caso di contatti con positivi (per esempio, a scuola), possono ancora fare affidamento sui congedi retribuiti al 50%. Si tratta di una misura rifinanziata fino a marzo 2022» conferma Orlando.

Quarantena per positività: cosa succede?

L’ultimo caso riguarda chi risultasse positivo al Covid: come specificato dall’Inps, il lavoratore che è «temporaneamente incapace al lavoro» perché ha contratto il Covid, ha «diritto ad accedere alla corrispondente prestazione previdenziale, compensativa della perdita di guadagno». Insomma, non cambia nulla e può stare a casa in malattia fino all’avvenuta guarigione, comprovata da tampone negativo in uscita.