Si inizia con i primi sintomi di malanni stagionali come tosse e naso che cola, che in questo autunno post lockdown sono già sufficienti per consigliare di restare a casa, perché potrebbero anche essere segni di un’infezione da Covid. Se poi c’è anche la febbre, ecco che avvisare il proprio medico diventa indispensabile. Sarà lui a decidere se procedere a tampone per escludere un contagio da coronavirus. In ogni caso il lavoratore e la lavoratrice dovranno stare a casa in isolamento, fino all’esito dell’esame. Come sono considerati quei giorni? Quando scatta la malattia con relativo riconoscimento non solo della retribuzione piena, ma anche dei contributi figurativi?

Per chiarire le condizioni di riconoscimento della convalescenza è intervenuta l’Inps con un’apposita circolare, che chiarisce come le cose possono cambiare in caso di lockdown.

Il lockdown non è equiparato alla malattia

La precisazione più importante riguarda proprio il trattamento in caso di «ordinanze o provvedimento di autorità amministrative che di fatto impediscano ai soggetti di svolgere la propria attività lavorativa». Con questa definizione si fa riferimento al lockdown, totale o parziale. Se ciò accadesse, non è previsto il riconoscimento della malattia.

L’isolamento fiduciario in attesa di tampone è malattia

La malattia scatta solo quando è l’autorità sanitaria (in particolare il Dipartimento di Prevenzione territoriale, DPT, della Asl competente) a dichiarare la quarantena per un soggetto positivo, cioè quando una persona è in quarantena in attesa di guarigione o è in isolamento in attesa di fare il tampone. Questo vale anche nel caso si abbiano avuto contatti stretti con soggetti positivi, come ad esempio un figlio in quarantena. Bisogna chiamare il proprio medico che avvierà la richiesta di tampone: sarà da quel momento che partirà l’isolamento o la quarantena precauzionale e con essi la malattia, indipendentemente da quando effettivamente si sarà chiamati a fare il tampone. «Lo prevede il Decreto Cura Italia, che equipara a malattia questo periodo di attesa che però non è di malattia in senso stretto. Solo in questa primissima fase, quindi prima di accertare una eventuale positività, datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi e consentire lo smart working, che cesserà con l’inizio della malattia vera e propria».

Le condizioni, dunque, cambiano: «Prima del chiarimento di Inps, molti datori di lavoro avevano richiesto ai dipendenti di procurarsi un certificato medico per malattia in entrambi i casi» in modo che l’Inps pagasse i giorni di lavoro “persi”. Questo significa che la malattia pagata dall’Inps cesserà nel momento in cui tampone risultasse negativo e quindi si potrà tornare al lavoro.

«Oggi le indicazioni dell’Istituto di Previdenza, salvo il caso di contestuale stato di patologia del lavoratore, sono quelle di non considerare equiparabile la quarantena a malattia» chiarisce Antonello Orlando, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. In pratica la quarantena non sarà considerata malattia se non in caso di positività o in attesa di fare il tampone. Se invece si sarà costretti a stare a casa per eventuali lockdown, non potrà essere riconosciuta la malattia, come invece era accaduto la scorsa primavera.

La malattia c’è solo se si è positivi al Covid

Come chiarito dall’Inps, quando viene riconosciuta la malattia a fronte di una positività al Covid, è prevista «l’indennità economica (con correlata contribuzione figurativa) e l’eventuale integrazione retributiva dovuta dal datore di lavoro, secondo gli specifici contratti di riferimento».

Se i figli sono in quarantena non si può chiedere la malattia

Ma cosa accade se si sta a casa perché il proprio figlio è ammalato di Covid? Si può chiedere malattia o solo l’apposito congedo Covid? In caso di figli ammalati in quarantena o in isolamento per sospetto contagio non è ammesso chiedere malattia perché ad essere “ammalato” è appunto un soggetto diverso da chi chiede l’indennità. Si può invece usufruire del Congedo Covid, ossia la possibilità di fruire di una retribuzione al 50%, prevista appositamente per i casi di positività di figli, a patto che siano minori di 14 anni e conviventi. «Questo congedo è a carico dello Stato e monitorato da Inps a patto che l’altro genitore non sia un lavoratore agile o goda di altre assenze da lavoro come la cassa integrazione» precisa Orlando.

Anche gli asintomatici possono chiedere la malattia

Anche i soggetti che risultano positivi al tampone ma sono asintomatici hanno diritto a fruire del periodo di malattia, perché sono tenuti alla quarantena. La quarantena è stata abbassata a 10 giorni con un solo tampone in uscita, proprio per coloro che non presentassero sintomi da Covid.

Gli asintomatici non possono lavorare da casa

Potrebbe essere lo stesso lavoratore o lavoratrice, però, a chiedere di continuare l’attività in modalità agile, dunque in smart working. Oppure potrebbe essere il datore di lavoro a proporlo. Questa ipotesi, però, non è attuabile perché il certificato medico che dispone la quarantena obbliga di fatto ad astenersi dal lavoro. Secondo gli esperti, inoltre, in caso di aggravamento del quadro clinico potrebbe configurarsi una responsabilità a carico del datore di lavoro. Al momento, infatti, non esiste alcuna norma che preveda eccezioni per attività lavorative compatibili con uno stato di positività al Covid asintomatica, dunque senza conseguenze dannose per il lavoratore. «Il messaggio Inps conferma che a livello generale chi è in stato di malattia da Covid-19 non può rendere la propria prestazione lavorativa; dunque anche nel caso di lavoratori asintomatici, se vi è una certificazione di malattia emanata dal medico iscritto a SSN non potrà essere resa la prestazione lavorativa» spiega l’esperto.

Alla cassa integrazione non si può aggiungere la malattia

L’Istituto di Previdenza ha precisato che chi percepisce la cassintegrazione o il reddito di cittadinanza non può fruire anche della tutela di malattia, perché di fatto non sta lavorando dunque non deve astenersi da alcuna attività professionale.

Lavoratori fragili: l’isolamento precauzionale non è malattia

Un discorso a parte meritano i cosiddetti lavoratori fragili, cioè coloro che hanno ottenuto un esonero per precedenti patologie (come immunodepressi, pazienti oncologici, ecc.). Nel loro caso la malattia è incompatibile con quarantena o isolamento precauzionale, perché queste disposizioni «non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma situazioni di rischio per il lavoratore e la collettività». In pratica, nei casi nei quali il lavoratore fragile continua l’attività lavorativa presso il proprio domicilio, sulla base di accordi con il proprio datore di lavoro e in assenza di certificato di malattia, l’isolamento o la quarantena rappresentano solo misure di tutela per sé e per gli altri, che di fatto non impediscono la prestazione da remoto.

Va però aggiunto che «fino al 31.7 era possibile astenersi dal lavoro con indennità di malattia in presenza di certificato medico attestante la condizione di fragilità. Ulteriori novità sono contenute nella legge di conversione del Decreto Agosto che è in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale» aggiunge Orlando.

Chi resta in quarantena fuori dall’Italia non ha diritto alla malattia

Cosa succede se un lavoratore si ammala all’estero o è costretto alla quarantena? Può fruire della tutela previdenziale della malattia se diventa positivo mentre non è in Italia? Come chiarito dall’Inps, non è previsto alcun trattamento di malattia. In pratica, se ci si è recati privatamente in un paese nel quale è stata richiesta, che ha impedito il ritorno al lavoro in Italia, non si può chiedere l’accesso al riconoscimento di malattia perché questa «non può che provenire sempre da un procedimento eseguito dalle preposte autorità sanitarie italiane».