L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato il proprio “no” alla riduzione della quarantena: 14 giorni restano il tempo stabilito di isolamento in caso di diagnosi di Covid-19. La raccomandazione «è basata su quello che sappiamo sul periodo di incubazione e di trasmissione del virus – ha spiegato l’OMS, ribadendo che «non è cambiato» e «i Paesi che stanno considerando modifiche del periodo di quarantena dovrebbero tenerlo presente». Un chiaro riferimento alla Francia, che ha dimezzato il tempo da 14 a 7 giorni. Ma il dibattito è più vivo che mai all’estero, mentre in Italia il Comitato Tecnico Scientifico, riunito il 15 settembre, ha confermato i 14 giorni.
Chi vuole la quarantena veloce (e chi no)
La prima è stata la Francia, che ha deciso di ridurre la quarantena da 14 a 7 giorni. Ma anche la London School of Hygiene and Tropical Medicine britannica si è espressa per i 7 giorni di isolamento, mentre i Centers for Disease Control and Prevention americani ritengono che siano sufficienti 10 giorni per definire guarito un malato Covid. In Italia il Comitato Tecnico Scientifico, finora incline a non ridurre il periodo di isolamento, si è riunito il 15 settembre decidendo poi per il mantenimento dei 14 giorni, di fronte al rischio di “liberare” 40mila italiani: tanti infatti sono i cittadini che al momento sono in isolamento per Covid o in attesa di tampone. Solo due giorni dopo anche l’OMS ha ribadito la linea, proprio mentre altri Paesi europei vanno in direzione opposta. come ricorda l’infettivologo Matteo Bassetti «Siamo circondati da paesi in cui la quarantena è inferiore a 14 giorni: Francia 7, Svizzera 10, Austria 10, Slovenia 10. molti di questi paesi stanno addirittura pensando ad una ulteriore riduzione con un acceso dibattito tra Svizzera e Germania per arrivare a 5 giorni». Proprio la Germania ha chiamato in causa Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc).
Europa e OMS dubbiosi
Dopo la decisione francese anche la Germania valuta l’ipotesi della «quarantena veloce», ma prima di decidere ha chiesto esplicitamente il parere del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). I dati finora raccolti, infatti, indicherebbero che un accorciamento del periodo di isolamento dopo un tampone positivo porterebbe a ridurre del 6% la possibilità di individuare casi tra i contatti stretti di chi si è ammalato di Covid. Insomma, si renderebbe più difficile il tracciamento e dunque il contenimento di nuovi focolai.
L’Ecdc ha quindi risposto che, «sulla base delle evidenze scientifiche», ritiene «non ci siano prove sufficienti per supportare una diminuzione del periodo di incubazione del Covid19 da 14 a 10 giorni». Insomma, niente “quarantena soft”.
Lo studio cinese e la quarantena a 21 giorni
Uno studio dell’università cinese di Shangai consiglierebbe di allungare l’attuale periodo di quarantena fino a 18/21 giorni. Il motivo è legato ancora una volta al periodo di incubazione del virus Sars-Cov2 che sarebbe più lungo di quanto ritenuto finora e spingere ad estendere l’isolamento dei pazienti di altri 4/7 giorni.
Quali sono, dunque, i benefici di una riduzione e quali i limiti? E che posizione ha l’Italia?
I dubbi in Italia
Ad anticipare la posizione ufficiale del Comitato Tecnico Scientifico era stato il coordinatore Agostino Miozzo, che aveva mostrato sorpresa nei confronti della decisione francese, mentre un invito alla cautela era arrivato anche dall’Istituto Superiore di Sanità: «Proprio alla luce delle iniziative degli altri Paesi, il CTS ha considerando una modifica di questo periodo. Tuttavia, le decisioni dei tecnici e del governo devono essere basate sulle evidenze scientifiche e su una valutazione del bilancio rischio-beneficio» conferma Paolo D’Ancora, epidemiologo e ricercatore dell’ISS.
«Il rischio zero non esiste, lo vediamo anche con la ripresa della scuola. Non sono decisioni facili, ma credo che dobbiamo trovare una soluzione di compromesso» risponde a distanza Matteo Bassetti, Direttore della clinica di Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova e presidente della Società italiana di Terapia Antinfettiva (SITA)..
Pro e contro della “quarantena soft“
«Il vantaggio è chiaramente una minore permanenza a casa e di tutto quello che comporta in termini di rinunce ad attività lavorative e sociali. Insomma, il ritorno alla vita normale si abbrevierebbe rendendo più snello il processo. Tuttavia, alcuni soggetti potrebbero manifestare una positività oltre i 7 giorni e quindi aumentare i rischi di trasmissione del virus in un momento molto delicato quale quello della ripresa della scuola e l’approssimarsi della stagione autunnale. Tutti noi vogliamo il ritorno a una vita normale, ma non possiamo sacrificare le evidenze scientifiche» spiega D’Ancona.
«Ci sono altri due aspetti da non sottovalutare» interviene Bassetti. «Il primo è che tutti gli altri Paesi si stanno muovendo in questa direzione: rimanere gli unici con regole differenti significherebbe anche adottare misure di protezione come il tampone obbligatorio alla frontiera per chi arriva da Paesi, come la Francia, che hanno modificato i protocolli. Tra l’altro va anche considerato che l’Istituto Pasteur di Parigi, che ha consigliato il dimezzamento della quarantena, è il più grande ente al mondo in tema di biologia e la Francia è un Paese con una lunga tradizione e conoscenza della virologia. In secondo luogo, le evidenze scientifiche ci dicono che la contagiosità decresce col passare dei giorni senza sintomi. Spesso ci capitano tamponi positivi o debolmente positivi anche dopo 14 giorni. Io ricevo decine di email da pazienti che rimangono nella stessa condizione anche per 4/7 settimane» s
Il compromesso: 10 giorni e un solo tampone
«Credo si debba provare a lavorare a una soluzione di compromesso che semplifichi la situazione, diventata complessa da gestire per tutti Si potrebbe pensare di scendere a 10 giorni di quarantena, con un solo tampone in uscita» suggerisce il professor Bassetti.
Proprio il numero di tamponi è un tema caldo, dopo che gli esperti del Patto trasversale per la scienza hanno scritto una lettera al Governo, al Cts e ai presidenti di Camera e Senato chiedendo un solo tampone per dichiarare la guarigione e interrompere la quarantena.
Quanti tamponi servono per essere guariti?
Nel
documento si chiede «di sostituire il criterio del doppio tampone negativo con
quello indicato nelle nuove direttive OMS, riducendo a 10 giorni il periodo di
malattia per Covid-19 (più tre giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero) e
abbandonando l’uso del tampone di controllo». Secondo gli scienziati del Pts, infatti, già da
tempo la stessa OMS «ha abbandonato questo criterio in base ad una crescente e
ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità,
che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei
primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10
giorni». Al contrario, il tampone può rimanere positivo anche «per molte
settimane». Per questo si chiede di seguire l’esempio di altri Paesi, anche per
evitare che in molti nascondano i sintomi per timore di rimanere isolati per un
periodo molto lungo, soprattutto ora che le attività (scuola compresa) sono
riprese.
«Esiste tra l’altro un aggravio di lavoro per gli ospedali che potrebbe creare problemi in autunno quando ci sarà un afflusso maggiore, per la concomitanza con l’influenza stagionale» osserva Bassetti.
In effetti è l’intera strategia che andrebbe rivista o confermata. «Anche in Europa si assiste a diversità, sia per scelte tecniche e politiche, sia per differenti situazioni epidemiologiche» conclude D’Ancona. «L’attuale posizione italiana è molto conservativa e sicura, ma senz’altro molto impegnativa. Però è quella che ci ha permesso di mantenere basso e controllato il livello di circolazione del virus, mentre in altri paesi abbiamo assistito a vistose recrudescenze. Anche abbassare il numero dei tamponi ridurrebbe il carico dello sforzo diagnostico, ma l’impatto in termini di rischio deve essere ancora valutato nell’insieme di tutte le misure di prevenzione attuate in Italia».