Neanche il lockdown ha fermato bombe e attentati a Foggia. Il 1° aprile un ordigno è esploso davanti a una residenza per anziani. Il 29 dello stesso mese ad andare in fiamme sono stati i capannoni di alcune ditte ortofrutticole. L’11 maggio è toccato all’auto di un’imprenditrice e il 29 a un negozio di San Severo. La chiamano “quarta mafia”, come se contasse meno dinanzi a Cosa Nostra, camorra e ’ndrangheta. E invece l’efferatezza della criminalità locale non ha eguali: in 30 anni nella Capitanata, lembo di territorio che racchiude Gargano e provincia di Foggia, si sono contati 360 omicidi, l’80% dei quali irrisolti.
Un omicidio alla settimana
Tra il 2017 e il 2018 si è registrata la media di un omicidio alla settimana, una rapina al giorno, un’estorsione ogni 48 ore. Ed è proprio il pizzo, insieme al traffico di armi e stupefacenti, la fonte di reddito principale dei clan della zona. «Sono gli unici che hanno contatti diretti con i broker della droga e dunque sono loro a servire anche la piazza leccese e quella barese» spiega il giornalista Giuliano Foschini, autore con il collega Carlo Bonini del libro Ti mangio il cuore (Feltrinelli), che ricostruisce nel dettaglio l’escalation mafiosa nella Capitanata. «In questo momento non c’è dubbio che l’emergenza criminale nazionale sia a Foggia».
Riciclaggio ed estorsione, in un’area molto densa di turismo, locali e piccole attività commerciali, fanno il resto. Anzi no: il resto, come in ogni organizzazione di questo tipo, lo fa l’omertà. «I legami familiari molto stretti giocano un ruolo determinante» ammette l’ex procuratore antimafia Cataldo Motta. «Quando mettemmo sotto scacco la Sacra corona negli anni ’90 avevamo più di 30 collaboratori di giustizia. Oggi nell’area foggiana i tanti rapporti di sangue rendono impossibile tutto questo». Eppure chi prova a sottrarsi a questo schema c’è.
Il volto della ribellione appartiene a una donna
Lei è Lidia Di Fiore, detta Rosa, una ragazza talmente bella che Pietro Tarantino, capobastone nel Gargano, la sceglie come moglie. Hanno 3 figli. Però lei scappa. Si innamora di Matteo Ciavarella, da cui ha un bambino. I Ciavarella e i Tarantino sono più che rivali, si ammazzano da generazioni: lei fa diventare fratelli uomini che avrebbero dovuto odiarsi per il resto della vita, secondo le regole dei cognomi. Per questo, a marzo del 2004, decide che è arrivato il momento di cambiare: «Non volevo che i miei figli crescessero in quel modo, che diventassero dei boss come i rispettivi padri» mette a verbale. Da allora Rosa collabora con gli inquirenti, svelando legami e accordi che fanno tremare la mafia garganica.
A collaborare, a rischio della propria vita, è anche Daniela Marcone. È il 1995 quando le uccidono il padre: da direttore dell’Agenzia delle Entrate aveva messo il naso dove non avrebbe dovuto. Una vera e propria esecuzione. Da allora Daniela ha intrapreso la sua battaglia, denunciando a viso scoperto la criminalità foggiana quando nessuno ne parlava. «Nel corso degli anni ci sono state 5 guerre di mafia in città, ma per tutti erano solo questioni familiari. Intanto i morti aumentavano, così come il controllo del territorio» racconta Marcone, oggi vicepresidente di Libera, la rete di associazioni contro le mafie.
Il silenzio diffuso che favorisce la criminalità
Il silenzio diffuso ha consentito per anni alle organizzazioni di espandere il proprio controllo sul territorio. Oggi, non a caso, il network della criminalità operante nel Nord della Puglia è impressionante. «C’è da dire» spiega ancora Foschini «che rispetto alla tradizionale idea di organizzazione mafiosa, la società foggiana è diversa: è una struttura satellitare e non piramidale. Non c’è un capo dei capi, esistono dei gruppi che lavorano ciascuno in un suo territorio».
Secondo l’ultima relazione dell’Antimafia, il territorio foggiano è diviso fra 3 batterie principali, adesso in tregua. A Cerignola, invece, si muove un’organizzazione “para-militare” dedita all’assalto di portavalori e tir: nel 2015 lungo la A14 rapinarono 4,7 milioni di euro dopo aver bloccato in 2 minuti esatti l’arteria autostradale, speronato i portavalori, azionato i kalashnikov e smantellato i blindati per andarsene con le casseforti. Lo scorso gennaio a Mellitto, Bari, un furgone diretto agli uffici postali di Matera è stato letteralmente sfondato da 2 ruspe blindate. Due milioni di euro il bottino.
Nell’area garganica, invece, le rivalità restano infuocate, specie tra 2 famiglie: da una parte i Romito, dall’altra i Li Bergolis, protagonisti della famosa strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017, quando furono freddate 4 persone. «Quella strage» ricorda Daniela Marcone «rappresenta una linea di confine: da allora nessuno più ha potuto dire “io non sapevo”». Foschini è d’accordo: «Da allora lo Stato ha finalmente reagito da Stato. Perché è fondamentale capire una cosa: nella partita con la mafia vince sempre lo Stato. Il punto è solo capire come e quando».