Quello del consenso è un argomento spinoso. Tocca il sesso, i confini personali, le scelte, la sensibilità. Sapere come comportarsi davanti a un “No!”, o quando è giusto dire “No!”, è anche un problema culturale. Alcuni uomini – ancora troppi – non sono abituati a sentirselo dire. E molte donne sono state cresciute col timore di dirlo. Ma non è un problema di genere. Non solo.
“Il consenso: non è poi così complicato”
Nel 2014 la blogger Emmeline May scrisse un post piuttosto arrabbiato dal titolo Consent: not actually that complicated (Il consenso: non è poi così complicato), che divenne virale in una notte. Ebbe un tale successo che 2 mesi dopo ne uscì la versione animata, intitolata Tea Consent, un video che a oggi conta qualcosa come 8,3 milioni di visualizzazioni. La metafora del tè è risultata vincente, per far capire che a volte si ha voglia e altre no, e altre volte ancora si può cambiare idea anche se il tè è già pronto.
Copyright ©2015 Emmeline May and Blue Seat Studios
«Mi ha ispirato la mia Lola a 7 anni»
«Mi ha ispirato la mia Lola a 7 anni». Rachel Brian, autrice di quel video con la sua casa di produzione Blue Seat Studios, nel 2016 realizzò poi Consent for kids, per spiegare ai bambini quel concetto basilare – il consenso, appunto – e insegnare il rispetto di sé, degli altri, delle differenze tra le persone. Un filmato su YouTube, anche questo virale, che adesso è diventato un libro, Dai un bacio a chi vuoi tu (De Agostini). «L’idea del video mi è venuta quando mia figlia Lola, a 7 anni, un giorno è tornata da scuola triste» mi spiega Rachel via Skype dal suo studio a Providence, Rhode Island. «Le domandai cosa fosse successo e lei mi rispose che un bambino l’aveva baciata. “È una cosa bella o brutta?” le chiesi. “Brutta, non l’ho voluto e non siamo nemmeno amici” ribatté».
La mossa successiva, da mamma, fu contattare l’insegnante che subito si premurò di parlare con la madre del bambino per farlo sgridare. «Pensai che fosse un’opportunità persa: ai bimbi piacciono gli abbracci, non c’era nulla di sbagliato né di aggressivo in quel gesto». Allora? «Forse era arrivato il momento di spiegare ai bambini che possono avere il controllo del proprio corpo».
Insieme a Lola, che oggi ha 11 anni, Rachel ha creato un corto di 3 minuti divertente e immediato con gli stessi omini stilizzati che ora sono protagonisti del libro. «Lo scopo era, ed è, quello di fornire ai piccoli gli strumenti per comprendere quali sono e dove risiedono i limiti, senza parlare di sesso o innescare la paura per gli estranei, che sono argomenti di solito associati al consenso. Volevo essere divertente, coinvolgente, insegnare la consapevolezza del proprio corpo. Lezioni utili per quando i nostri figli diventano più grandi e le cose si complicano. Spesso arrivano al liceo senza avere gli strumenti per capire quando è ora di fermarsi e quanto controllo possono avere».
«Voglio dare ai più piccoli gli strumenti per instaurare relazioni sane»
«Voglio dare ai più piccoli gli strumenti per instaurare relazioni sane». Difficile arrivare ai più piccoli con argomenti così grandi? «A quell’età non sono in grado di articolare quello che provano, però in certe situazioni anche loro avvertono disagio, hanno la sensazione che qualcuno abbia portato loro via qualcosa senza chiedere il permesso, non si sentono padroni di sé e provano la disuguaglianza che deriva dal potere» sottolinea Rachel, che prima di diventare illustratrice è stata educatrice.
Il suo libro ha ricevuto anche il plauso di Amnesty International Italia perché oltre al consenso, si legge nella motivazione, «spiega concetti fondamentali quali il rispetto profondo per sé e per gli altri, l’importanza dell’ascolto, l’empatia. Valori irrinunciabili che sono alla base dei diritti umani e che lo rendono uno strumento prezioso per parlare ai bambini di oggi e renderli, domani, adulti rispettosi e consapevoli». «È uno strumento utile anche per contrastare bulli e prepotenti, per non sentirsi in colpa se un adulto si comporta in maniera scorretta e per instaurare relazioni sane con i coetanei» aggiunge l’autrice.
«Ho un motto: parlare di grandi idee attraverso l’umorismo»
«Ho un motto: parlare di grandi idee attraverso l’umorismo». Rachel, 48 anni e 3 figlie, di 11, 14 e 16, si ritiene femminista, ma soprattutto interessata alla parità e all’equità di trattamento per tutti, al di là di genere, razza, religione. Il movimento del MeToo, dice, ha certamente cambiato il modo di vedere le cose. «Sono cresciuta a New York negli anni ’80. C’erano molti episodi di violenza sessuale ma non se ne parlava. A 15, 16 anni capitava di andare ai concerti ed essere circondate da ragazzi che invadevano il tuo spazio personale. Per fortuna oggi se ne discute e in tanti hanno cominciato a farsi delle domande».
“Big ideas through humour”, grandi idee attraverso l’umorismo, è il motto di Rachel che, col suo studio ha realizzato video anche per l’Onu, l’esercito statunitense e varie università sempre sul tema delle molestie sessuali e delle ineguaglianze. La sua prossima sfida? «Sto lavorando a un libro per bambini sull’ansia. E sa cosa? Anche quello è stato ispirato da una delle mie figlie!».