«Ho 49 anni e da sei mesi vivo con mia madre»
Ho 49 anni e da sei mesi vivo con mia madre. E non perché sia lei ad aver bisogno di me: sono io che ho bisogno di lei. Certo, è una situazione temporanea – ma non è una festa comandata. Certo, le circostanze sono straordinarie – ma dopo tanto tempo, sembra normale. Certo, questa rimane comunque casa mia – ma in cucina ho perso i miei privilegi. Pur in presenza di molte attenuanti, è un vigoroso smottamento esistenziale. Mi sento molto grata e un po’ a disagio.
La dottoressa Simona Rivolta, psicoterapeuta, mi rassicura: «È un’esperienza emotiva comune. Spesso non è nemmeno necessario riattivare una convivenza, a volte basta una giornata nella casa della madre perché avvenga una sorta di scatto regressivo: la bambina che siamo prende possesso della scena, mentre la donna adulta, competente e autonoma, scivola dietro le quinte. Si avverte un passo indietro, verso la dipendenza, che produce un sentimento ambivalente, com’è tipicamente il rapporto con la madre soprattutto per le figlie femmine. Da un lato è attraente: posso lasciarmi guidare; dall’altro risulta infantilizzante, e produce un sentimento claustrofobico. Tanto più la relazione è conflittuale – oppure lo è stata – tanto più questi momenti assumono tinte accese».
Il rapporto madre figlia
Camilla ha pochi anni più di me e non riesce a uscire dai meccanismi dell’adolescenza. «Mia madre è stata tutta la mia famiglia: è un legame che non riesco a trasformare, e me ne faccio totalmente carico. Mio padre se ne andò di casa, ma lei non ha mai dato l’impressione che le pesasse non avere un compagno. Eppure non sopporto l’idea che sia sola. Penso che, se non ci fossi stata io, le sarebbe stato più facile rifarsi una vita. Da piccola, quando si arrabbiava con me, cercavo di risolvere il prima possibile: neanche fosse un fidanzato. Lei invece riusciva a non parlarmi per giorni». Adesso sua madre è anziana e malata, e Camilla vive in stato di assedio: da un lato la madre per cui le sembra di non fare mai abbastanza, dall’altro «mia figlia adolescente che ho paura persino ad abbracciare, o che se le chiedo come sta si scocci».
Per la dottoressa Rivolta, nel rapporto tra la madre anziana e una figlia adulta, «può essere che si crei una sorta di richiesta di risarcimento, come a dire “io ti ho dato tanto, adesso tocca a te restituire”. Viene vissuto in modo piuttosto armonioso, pur con tutti gli intoppi delle normali relazioni umane, quando la figlia durante l’infanzia ha percepito accanto a sé una figura sufficientemente materna. Se invece ci sono stati atteggiamenti più o meno narcisisti, la figlia, invece che essere una persona separata con bisogni propri e specifici, diviene una sorta di appendice. Annie Ernaux, in un libro bellissimo che si intitola Una donna, quando la mamma si ammala scrive una cosa molto precisa: “Non volevo che tornasse a essere una bambina piccola, non ne aveva il diritto”».
Il narcisismo di una madre
Il narcisismo di una madre può manifestarsi in forme assai diverse. Una è quella della “mamma amica”: come la madre di Regina George in Mean Girls che annuncia «Non sono una mamma normale, sono una mamma figa». Offre alcolici alle compagne di scuola, sa a memoria le mosse del balletto, veste di rosa ogni mercoledì. Invece in Voglia di tenerezza – con Shirley MacLaine e Debra Winger – Aurora è il tipo di madre che alla vigilia delle nozze decide di comunicare alla figlia Emma quanto poco approvi la scelta del futuro marito. Lo fa per il suo bene, naturalmente: Emma non è «abbastanza speciale da sopravvivere a un matrimonio sbagliato».
La distanza emotiva tra madre e figlia
Alla base, spiega Simona Rivolta, c’è sempre il tema della distanza emotiva. «L’intenzione nel 99% dei casi è autenticamente positiva, ma nelle persone con un narcisismo importante questa distanza non esiste: il processo per cui si riesce a vedere il confine che separa “me” da “te” non si compie mai. E se una figlia cresce in una dimensione di questo tipo, poi farà fatica a riconoscerlo a sua volta. Cognitivamente l’idea sarà: farò il contrario di quello che ha fatto mia madre – niente di più classico. Per esempio: presterò molta attenzione a quello che mia figlia vive e a come lo vive, sarò sempre vicina, sarò sempre partecipe. Ma spesso si trasforma in qualcosa che la figlia percepisce come mancanza di quella distanza sana, e doverosa, che è protettiva della crescita. Perché un legame troppo stretto, un’identificazione troppo puntuale, non consente di distinguere i ruoli».
Quando la distanza tra madre e figlia è sana?
Una distanza sana, dice la psicoterapeuta. Come se fosse facile. L’altra settimana ho accompagnato QuellaGrande nella sua nuova scuola, a 2000 (milioni di) chilometri da casa. Tutto quello che potevo fare per controllare il suo futuro era la spesa: una coperta in più per quando non sarò lì a dirti che sento freddo, copriti; un set di contenitori per il bagno che non potrò obbligarti a tenere in ordine; antidolorifici contro la nostalgia, antinausea, antistaminici… anticoncezionali? I genitori dovevano lasciare il dormitorio alle sette e mezzo. Un’ora prima lei mi ha detto: «Vabbè, io adesso vado a fare un giro coi miei amici, ci vediamo alle sette e un quarto davanti all’ingresso. Come una cretina, ho aspettato lì impalata per un’ora. Però ogni tanto la geolocalizzavo col telefono.
«L’uso di questi strumenti è diventato un grande ansiolitico» dice ancora Rivolta, «ma in modo assolutamente irrealistico. Qualsiasi esperienza minimamente dolorosa o fastidiosa viene considerata anormale. Anche io ho due figli, e mi rendo conto che il tentativo di tutte noi è di apparecchiargli un’esistenza priva di intoppi e di dolore. Però abbiamo preso un abbaglio: il dolore, inteso come fatica per superare un momento difficile, fa parte del vivere. L’idea che ci siamo fatti di una strada senza scossoni è foriera più di problemi che di soluzioni. Bisognerebbe provare a usare uno sguardo allo stesso tempo più ampio e più intimo. Come fossero due correnti: una superficiale dove accadono gli eventi; una più profonda dove il ruolo perde di importanza e c’è l’affettività, con la sua carica di ambivalenze. È importante riconoscerla, questa ambivalenza: sentire che l’ideale cui ci viene chiesto di tendere è irrealizzabile. Anche chi funziona apparentemente molto bene non è privo di aree di fatica. Non è nemmeno fragilità: è normale».
Charlotte Gainsbourg e Jane Birkin
Jane par Charlotte è il documentario che Charlotte Gainsbourg ha girato sull’ingombrante madre che le è capitata in sorte, Jane Birkin, per «guardarti come non ti avevo mai guardato prima». Nonostante tutte quelle camicie bianche perfettamente sgualcite, qualcosa risuona quando Jane Birkin racconta che nel disordine pazzescamente chic della sua casa bretone – «Non sono capace di buttare niente, è una malattia leggera» – ci sono due specchi: uno lusinghiero e uno crudele. Davanti al primo una volta si è tagliata i capelli, sempre più corti: stava benissimo. Poi in camera si è guardata nel secondo: «Un mostro! Ma ormai era troppo tardi».
Mi è tornato in mente mentre parlavo con Beatrice, una sera nel parcheggio del reparto di rianimazione: «Certi momenti spazzano via tutto: il passato, il presente, il futuro neanche lo nomino. Non riesco a pensare a com’era, che madre è stata, che traumi e che forza mi ha dato: la vedo come l’ho vista oggi, e l’identificazione è totale. Dritta al “toccherà anche a me”, al “non voglio finire così”. E poi: non voglio che mia figlia soffra così per me. Un gioco di specchi moltiplicato all’infinito. Ma c’è un momento in cui il cerchio si chiude, ed è quando diventi la madre di tua madre, che è più indifesa di qualunque neonato perché non ha lo scudo della tenerezza. Fa paura, e vuoi soltanto non essere lì». Sono tornata a casa, e nel letto di QuellaGrande dormiva mia madre. Sentivo freddo, allora le ho messo addosso una coperta.
Moda mamma e figlia
E se mamma e figlia si assomigliassero anche nello stile? Qui ti presentiamo Monika, mamma, e Shari, figlia. Qui vedi Shari, 27 anni, e Monika, 56, sul set di Donna Moderna dove hanno giocato alla moda. Stesso stile, stesso buon gusto: buon sangue non mente. Guarda la gallery: