Domenica 12 giugno si vota in circa 1.000 Comuni per il rinnovo di Sindaci e giunte, ma soprattutto sarà il giorno dei referendum sui quali sono chiamati a esprimersi tutti gli italiani.
I 5 quesiti del referendum
Cinque i quesiti – tutti su temi che hanno a che fare con la giustizia – ammessi lo scorso 16 febbraio dalla Consulta, che invece ne ha bocciati due sulla legalizzazione della cannabis e sul fine vita, e un altro sempre sulla giustizia. Sono stati promossi da radicali e parte del centro-destra.
Riguardano l’abrogazione della legge che vieta la candidatura a cariche pubbliche per persone con condanne penali definitive superiori a due anni di carcere, l’eliminazione della custodia cautelare per alcuni reati, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e la riforma di alcuni procedimenti sull’attività del Consiglio superiore della magistratura.
Le urne saranno aperte solo il 12 giugno, dunque in data unica, dalle 7 alle 23. Perché i singoli quesiti passino, occorre che si raggiunga il quorum del 50% di votanti tra gli aventi diritto.
Ecco i quesiti.
Abrogazione delle Legge Severino
Si tratta del primo quesito e riguarda le norme sull’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per parlamentari, membri del Governo, consiglieri regionali, Sindaci e amministratori locali nel caso di condanne superiori ai 2 anni per reati gravi: corruzione, concussione, collaborazione con criminalità organizzata o attività terroristica, o per delitti non colposi con pene superiori ai 4 anni.
Il decreto legislativo (n. 235 del 2012) prescrive, infatti, che sia incandidabile chi viene condannato in via definitiva per questi reati o che decada, se ricopre già una carica, in caso di condanna definitiva per uno di questi reati.
Se al referendum vince il “sì”, la legge sarà abrogata e quindi verrà meno il divieto di candidatura nei casi appena indicati: rimarrà comunque la possibilità di un pronunciamento del giudice caso per caso, come avveniva fino al 2012, cioè prima dell’entrata in vigore della Legge Severino.
Limiti alla custodia cautelare
Il secondo quesito ha a che fare con le norme sulla custodia cautelare, cioè arresti preventivi in carcere o domiciliari o altri provvedimenti che limitino la libertà per un indagato. Oggi queste restrizioni sono previste in tre casi: pericolo di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione dei reati. Se passerà il “sì” verrà meno l’ultima condizione perché i giudici possano disporre la custodia cautelare, mentre rimarrebbero in vigore le altre due, per i casi nei quali le pene arrivano a un massimo di 5 anni di carcerazione o 4 in caso di arresti domiciliari.
I contrari sottolineano che il provvedimento di custodia si applica anche a reati di violenza e atti persecutori, e che si traduce oggi in provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, oppure a casi di attività di truffa, con il divieto temporaneo di esercitare attività finanziarie o imprenditoriali.
Le “porte girevoli”: separazione delle carriere di giudici e magistrati
Il terzo riguarda ancora la giustizia e in particolare l’attività dei “togati”, ossia giudici e magistrati. I promotori chiedono di separare nettamente le carriere delle due figure, in modo che non ci possa essere la possibilità di passare da un ruolo all’altro: in pratica si dovrebbe scegliere cosa fare a inizio carriera.
Al momento, invece, è possibile per esempio iniziare la carriera come magistrato, dunque con un’attività inquirente (si promuove una causa contro qualcuno) passando poi ad essere giudice, quindi con il compito di giudicare “super partes” ed emettere una sentenza dopo aver ascoltato magistrati e avvocati difensori. Ad oggi questo passaggio può avvenire, seguendo alcune regole, fino a quattro volte. Se passasse il “sì”, non si potrebbe più cambiare ruolo, passando dalle cosiddette “porte girevoli”.
Va tenuto presente, però, che è in discussione la riforma promossa dal ministro della Giustizia, Marta Cartabia, che prevede di limitare il “cambio di toga” a una sola volta.
La valutazione dei magistrati
Questo quesito riguarda da vicino le modalità di valutazione dell’attività dei magistrati, che al momento avviene ogni quattro anni, da parte di un consiglio disciplinare composto da altri togati, cioè giudici e pubblici ministeri, oltreché da avvocati e professori universitari che insegnano materie giuridiche. Ma mentre tutti possono esprimere un loro giudizio, solo i magistrati hanno il diritto di emettere un voto finale.
Se passerà il “sì”, invece, anche gli altri componenti dei Consigli giudiziari disciplinari potranno valutare. I magistrati sono contrari perché si creerebbe competizione tra avvocati e magistrati, ma non solo: potrebbe verificarsi che un avvocato, che magari ha espresso una valutazione non positiva, si trovi quel togato in aula come giudice, il che potrebbe condizionare quest’ultimo e inficiarne l’obiettività nella sentenza.
Le norme sulla candidatura al Consiglio superiore della magistratura
L’ultimo quesito ha a che fare con le modalità con le quali un magistrato può candidarsi al Consiglio superiore della magistratura. In particolare, la necessità, prevista finora, che si debbano raccogliere almeno 25 firme di altrettanti colleghi a supporto della candidatura. I promotori vogliono eliminare questo obbligo, con l’intenzione di ridurre il “peso politico” delle candidature.
Il Csm, che ha tra i propri compiti decidere l’avanzamento delle carriere dei magistrati o la valutazione disciplinare, è composto da 27 membri, dei quali 24 sono eletti mentre 3 vi siedono di diritto, in quanto sono il presidente della Repubblica, il presidente della Cassazione e il procuratore generale della Cassazione stessa. I due terzi dei restanti membri del Csm sono eletti da altri magistrati, mentre un terzo dal Parlamento. Se passerà il “sì”, si tornerà a quanto previsto dalla legge del 1958: tutti i magistrati in servizio potranno proporsi con una candidatura semplice.