L’appuntamento è per il 20 e 21 settembre, quando si voterà per il referendum costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari, oltre che per le amministrative in alcuni Comuni e Regioni. Ma il dibattito è acceso soprattutto sul quesito relativo al taglio del numero dei parlamentari, che confermerebbe o meno il testo di legge che prevede una riduzione del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento. In caso di vittoria dei SI gli attuali 630 seggi della Camera scenderebbero a 400, quelli del Senato a 200.
Referendum confermativo: non serve il quorum
È il quarto referendum confermativo nella storia della Repubblica e in quanto tale non occorre raggiungere un quorum. Si è reso necessario – nonostante l’approvazione definitiva al testo da parte della Camera, pressoché all’unanimità, l’8 ottobre 2019 – dopo che 71 senatori a gennaio 2020 ne hanno sospeso l’entrata in vigore, come previsto dalla Costituzione (dovevano essere almeno un quinto perché in Senato non era stata raggiunta la maggioranza di due terzi). Si tratta quindi di un voto per confermare un provvedimento già passato in Parlamento.
Perché indirlo adesso?
Il referendum era previsto il 29 marzo, ma è stato rinviato a causa dell’emergenza Covid. Al centro del dibattito, oggi, c’è soprattutto il diritto di rappresentanza da parte dei cittadini.
Come cambierebbe il numero degli eletti
Al momento l’Italia è al secondo posto per numero di parlamentari in Europa (945), alle spalle del Regno Unito (1.426) e davanti a Francia (925), Germania (778) e Spagna (616). Il rapporto tra parlamentari e cittadini è di 1,57 eletti ogni 100mila elettori. Se passasse il referendum il rapporto scenderebbe a 1 ogni 100mila elettori. In Spagna è di 1,2, nel Regno Unito è 0,97 (tra Camera dei Comuni, eletta democraticamente, e Camera dei Lord, con un certo numero di membri a vita, dei quali alcuni ereditano il titolo mentre altri sono eletti dai vescovi anglicani), in Francia è pari a 0,86, in Germania a 0,9. I paesi UE col rapporto più alto sono invece quelli più piccoli, come Malta (14 deputati per 100mila abitanti), Lussemburgo (10/100.000), Cipro (9/100mila). Negli Usa il rapporto è di appena 0,16 con 535 eletti su 330 milioni di cittadini americani.
«La situazione italiana non è anomala né lo diventerebbe se passasse la riforma. La rappresentatività rimarrebbe garantita e saremmo nel range dei principali Paesi europei sia per numero complessivo di parlamentari, sia nel rapporto con gli elettori. Ciò che cambia è che si allargano i bacini dei collegi elettorali» spiega Andrea Pin, docente di Diritto pubblico comparato all’Università di Padova, che aggiunge: «Come qualcuno ha fatto notare, si potrebbe creare un problema di squilibrio tra collegi: ad esempio, dal Trentino Alto Adige (1 milione circa di abitanti) uscirebbero 6 senatori, mentre dall’Abruzzo (1,4 milioni di abitanti) solo 4 dai 7 che erano eletti in precedenza» spiega Pin.
Cosa cambierebbe nell’elezione del Capo dello Stato
La riforma prevede anche una riduzione del numero di senatori e deputati eletti all’estero (rispettivamente da 6 a 4, e da 12 a 8), con un numero massimo di 5 senatori a vita nominati dal Capo dello Stato. «I poteri delle Camere non cambierebbero, mentre a mutare potrebbero essere gli equilibri tra queste, come nel caso dell’elezione del Presidente della Repubblica. Con la riduzione del numero di parlamentari, aumenterebbe del 50% il peso delle Regioni, i cui rappresentanti partecipano proprio alla scelta del Capo dello Stato, in un rapporto che oggi è di circa 60 rispetto ai 945 parlamentari totali, mentre in caso di riforma rimarrebbero 60 ma a fronte di 600 senatori. È il motivo per cui si parla di una modifica della Costituzione, successivamente al referendum» spiega l’esperto.
Cambierà la Costituzione?
«Non necessariamente. Ma è importante essere consapevoli dell’effetto domino di questa riforma nel peso dei rappresentanti regionali nell’elezione del Capo dello Stato e in caso di nuova legge elettorale. Se dovesse essere in senso maggioritario, riducendo la presenza dei partiti più piccoli, sarebbe più semplice la formazione di maggioranze parlamentari che potrebbero procedere a nuove modifiche costituzionali» dice Pin.
Cosa succederà agli attuali eletti?
«Al momento nulla, il Parlamento non decadrebbe perché la riforma entrerebbe in vigore con le prossime elezioni, quando però ci saranno meno posti a disposizione in Parlamento, dunque è immaginabile una maggiore competizione elettorale» spiega Andrea Pin.
Cosa prevede il quesito
Sulla scheda gli elettori troveranno questo quesito: «Approvate voi il testo della legge costituzionale concernente ‘Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?». Andrà barrata con una X la casella del SÌ, o del NO. La decisione di formulare il quesito in modo meno semplificato e meno burocratico rispetto al passato è stata criticata dai Comitati del NO, secondo i quali si tratterebbe di una sintesi delle ragioni di SÌ. Il Codacons ha annunciato ricorso al Tar del Lazio. Ma quali sono in sintesi le ragioni del SÌ e del NO?
Le ragioni del SÌ
La prima motivazione dei sostenitori del SÌ è il risparmio economico per lo Stato, che sarebbe pari a 100 milioni di euro all’anno, che salirebbero a 500 considerando l’intera legislatura.
Un altro scopo della riforma è ridurre la frammentazione dei gruppi elettorali, che secondo i Comitati del SÌ non è rappresentativa delle principali forze politiche e spesso rallenta le attività parlamentari, assicurando solo più “posti” a esponenti di minoranze politiche. Al contrario, con un Parlamento meno numerosi gli eletti sarebbero maggiormente “responsabilizzati” e “riconoscibili” nelle proprie posizioni: secondo il fronte del SÌ, al momento 1 parlamentare su 3 diserta le votazioni in Parlamento.
Quanto alla questione della rappresentatività, con il SÌ si ritiene che il rapporto di 1 parlamentare ogni 100mila elettori sia comunque maggiore di quello attualmente presente in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, tale dunque da garantire i diritti dei cittadini.
Le ragioni del NO
Secondo i Comitati del NO già oggi l’Italia, nonostante l’alto numero di parlamentari, non conterebbe su un elevato livello di rappresentanza. Occorrerebbe, piuttosto, una riforma più articolata che punti all’aumento della qualità più che alla riduzione della quantità di eletti. Il risparmio, poi, sarebbe di 82 milioni, che scenderebbero a 57 (285 milioni per un’intera legislatura) se si considera lo stipendio netto e non quello lordo. A risentire del taglio sarebbero soprattutto alcuni territori, con Regioni che vedrebbero calare in modo sensibile i propri eletti e dunque la propria rappresentanza.
In caso di vittoria del SÌ, inoltre, non solo le Commissioni vedrebbero diminuire i propri componenti, ma aumenterebbe il lavoro perché si renderebbe necessaria una riscrittura di tutti i regolamenti parlamentari. Cambierebbero anche i rapporti numerici per l’elezione del Presidente della Repubblica, dunque sarebbe necessario cambiare (con urgenza) la Costituzione.
Gli schieramenti in campo
I maggiori sostenitori del SÌ sono il Movimenti 5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia. Tra i partiti che invece si sono schierati apertamente contro il taglio dei parlamentari ci sono +Europa, Azione, Sinistra Italiana, Volt Europa, MAIE, Unione di Centro, Partito Socialista Italiano, Europa Verde, Vox Italia e Centro Democratico. Da Forza Italia non sono giunte posizioni nette, mentre il Pd ha posto come condizione per il SÌ una riforma della legge elettorale urgente, in senso fortemente proporzionale.