Il 4 dicembre gli italiani saranno chiamati a esprimersi sul tormentone politico del momento: il referendum costituzionale. Perché sia valido, non occorrerà che voti il 50% più 1 tra chi ha diritto (il cosiddetto quorum): vincerà chi otterrà più voti a prescindere da quanti andranno alle urne.
Cosa chiede il referendum costituzionale?
«Il quesito chiede di confermare o respingere una legge approvata dal Parlamento il 15 aprile» spiega Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico all’università di Perugia. «I suoi punti cardine sono la modifica del Senato, la soppressione del Cnel (il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro) e la revisione del famoso titolo V della Costituzione. Su quest’ultimo punto, verrebbero separate le questioni di pertinenza statale da quelle su cui decidono le Regioni. Sarebbero anche eliminate le cosiddette materie concorrenti, introdotte nel 2001, che creano confusione perché prevedono una competenza mista».
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Cosa cambia al Senato?
Se vince il sì. Il nuovo Senato avrà 100 membri: 74 consiglieri regionali e 21 sindaci (per i quali non è stato ancora deciso il metodo di elezione) più 5 scelti dal presidente della Repubblica.
Se vince il no. La composizione resterà quella attuale di 315 membri eletti con il sistema precedente, ai quali si aggiunge un numero variabile di senatori a vita.
La fiducia al governo cambierà procedura?
Se vince il sì. Il voto di fiducia e le mozioni di sfiducia al governo verranno discussi esclusivamente dalla Camera.
Se vince il no. All’inizio del suo mandato l’esecutivo dovrà incassare la fiducia da entrambe le camere, ma basterà la sfiducia di una delle due per farlo cadere, come oggi.
Come si modificherà l’iter legislativo?
Se vince il sì. Verrà modificato l’articolo 70 della Costituzione, che introduceva il bicameralismo perfetto. Camera e Senato eserciteranno congiuntamente la funzione legislativa solo per le leggi di rilevanza costituzionale o relative all’ordinamento statale. Per tutte le altre, compresa la conversione dei decreti legge, sarà titolare esclusiva la Camera e il Senato potrà solo proporre modifiche non vincolanti.
Se vince il no. Rimarrà in vigore il sistema bicamerale per tutte le leggi, che prima di entrare in vigore devono venire approvate con identico testo da Camera e Senato.
Come cambia l’elezione del Presidente della Repubblica?
Se vince il sì. Il Presidente della Repubblica sarà eletto con i due terzi di senatori e deputati nei primi tre scrutini e con i tre quinti dal quarto scrutinio.
Se vince il no. All’elezione continueranno a partecipare anche i delegati regionali. I primi due scrutini resteranno identici ma dal terzo sarà sufficiente, come oggi, la maggioranza assoluta.
Cosa cambia nei rapporti fra Stato ed enti locali?
Se vince il sì. Aumenteranno le materie in cui lo Stato potrà legiferare al posto delle Regioni: tra queste energia, trasporti, lavoro, rapporti con l’Europa. Ma anche per quelle su cui le Regioni mantengono competenza esclusiva il governo potrà chiedere di intervenire.
Se vince il no. Non verranno toccati né la suddivisione delle competenze legislative né gli assetti esistenti. Su eventuali conflitti di attribuzione Regione o Governo possono chiamare a pronunciarsi la Corte Costituzionale.
Quali costi verranno tagliati esattamente?
Se vince il sì. Verrà abolito il Cnel e saranno cancellate definitivamente dal testo costituzionale le Province. Insieme al taglio del Senato, la riforma dovrebbe comportare un risparmio cospicuo che però non è stato ancora stimato ufficialmente.
Se vince il no. Proseguirà il trasloco di funzioni e personale dalle Province alle città metropolitane. Il Cnel rimarrà in vita ma probabilmente verranno esaminate altre proposte di legge che ne dispongono la soppressione.
Ci saranno modifiche anche per quanto riguarda i referendum popolari?
Se vince il sì. Per presentare una proposta di legge popolare serviranno 150.000 firme. Per i referendum abrogativi ne occorreranno 800.000. Il quorum verrà fissato al 51% dei votanti alle ultime elezioni politiche.
Se vince il no. Per presentare una proposta di legge popolare e chiedere un referendum abrogativo basteranno rispettivamente 50.000 e 500.000 firme. Il quorum resta fissato al 51% degli aventi diritto al voto.
Che c’entra l’Italicum?
Dal 1° luglio è in vigore la nuova legge elettorale voluta dal governo Renzi, l’Italicum, la cui sorte si intreccia con quella del referendum. Assegna la maggioranza alla Camera (340 seggi su 630) al partito che prende più del 40% al primo turno oppure vince il ballottaggio al secondo turno, con qualsiasi percentuale. Così il leader di un’unica formazione avrebbe in mano un potere quasi assoluto. La modifica dell’Italicum è diventata merce di scambio per alcuni gruppi, come i bersaniani nel Pd o Sinistra italiana, che si dicono disponibili a sostenere il referendum se Renzi accetterà di ammorbidire questo meccanismo elettorale. Il premier ha detto di essere disponibile.
Come sono schierati i partiti?
Il Pd è ufficialmente a favore, ma la sinistra interna è contro, insieme a esponenti di peso come D’Alema. Forza Italia è per il “no”, ma 35 suoi deputati non seguiranno la linea, mentre il Nuovo Centrodestra di Alfano è favorevole. Del tutto contrari Lega, 5 Stelle e Fratelli d’Italia. «In realtà» conclude Clementi «il dibattito è diventato soprattutto una battaglia politica pro o contro Renzi».