Sarà capitato anche a voi di sentire parlare qualcuno al lavoro, in un dibattito politico (come quello che c’è appena stato tra Kamala Harris e Donald Trump in vista delle presidenziali Usa), a scuola, ma anche dal parrucchiere o in palestra, e di aver pensato: «Gran bel discorso!». Il merito? Della retorica, l’arte della parola e della persuasione. «La retorica ha un super potere: donare un “effetto boom” alle nostre parole, che il filosofo greco Gorgia da Lentini diceva fossero un farmaco. Da saper usare, però, perché può diventare un iper eccitante ma anche un sonnifero» spiega Flavia Trupia, docente, divulgatrice, autrice del libro Viva la retorica sempre! (Piemme) e da 7 anni amministratrice della società di formazione Per La Retorica (perlaretorica.it). «Tutti noi, anche senza saperlo, abbiamo già sperimentato questo super potere, per esempio quando abbiamo fatto sentire amate, protette, felici e persino anche più alte (ride, ndr) le persone a noi più vicine. Perché la parola ha il potere di trasformare le cose. È azione. Guai a chi mi dice: “Sono solo parole…”». Per questo abbiamo chiesto proprio a lei quali siano le basi di questa arte così antica, inventata in Sicilia nel V secolo a.C., e così importante.

Perché la retorica è fondamentale

In un mondo sempre più digitale, in cui si può pensare che le parole perdano la loro forza e il loro potere, quanto conta l’arte di saper fare un buon discorso?

«Oggi più che mai, se non conosci le basi della retorica, è come se andassi al Polo Nord nudo».

In che senso?

«La retorica non ti aiuta solo a parlare, ma anche a comprendere e a decidere. Gode di pessima fama, lo so, quando la si nomina si pensa sempre a qualcosa di falso, di ipocrita. In realtà non è così. È un’arte sofisticata che ha un doppio valore. Serve per dare gambe e respiro ai propri discorsi e per “vaccinarsi” dalla manipolazione e dalle parole di odio. Chi conosce la retorica sa parlare in modo efficace e non si fa abbindolare dalle fallacie e dalla violenza verbale, quella di un compagno che ti svaluta, di un capo che non ti convince o di un dittatore che cerca il tuo voto».

Quali sono le regole base della retorica

Appurato che saper usare le parole è fondamentale, si può imparare?

«Sì, non è un talento innato. È come imparare a guidare, a nuotare, a cucinare».

Una buona notizia. E quali sono le regole?

«Innanzitutto, un bel discorso va ripetuto all’infinito, l’ideale è farlo mentre si cammina, si prepara il caffè, si va al lavoro: dirlo in movimento aiuta a ragionare, a metterlo a fuoco e a ricordarlo meglio. Poi, bisogna usare lo schema del “panino”».

Di cosa si tratta?

«È la struttura ideale del discorso. Sì ai ringraziamenti, se servono, ma che siano brevi. Poi, vai subito al punto centrale che vuoi affrontare, ovvero la tesi. Scrivila, perché la scrittura è un setaccio: se riesci a scriverla, vuol dire che ti è chiara. E, se è chiara a te, lo sarà anche a chi ti ascolta. A questo punto inserisci delle argomentazioni a sostegno della tesi. Possono essere 3 storie, 3 dati, 3 buone ragioni, 3 casi. E il terzo può essere anche ironico. Poi ci sono la chiusa, in cui devi riprendere la tesi iniziale, e la conclusione: una frase breve, di 4-5 parole al massimo. Non dimenticarti della musicalità: le parole devono suonare bene. I grandi discorsi, per esempio quelli di Barack Obama, hanno dei veri e propri ritornelli e il ritmo di una canzone rap».

Come si scelgono le parole?

«Lo dice alla perfezione Raymond Carver in Il mestiere di scrivere: “In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose, oggetti usando un linguaggio comune ma preciso, e dotando questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo”».

In un discorso anche la mimica, la voce, le pause sono importanti

Le parole contano, ma un bel discorso è fatto anche da tanti altri piccoli dettagli, come la mimica. Ci può dare qualche consiglio?

«Partiamo con il dire che gesticolare e muoversi, se possiamo, va benissimo. L’importante è farlo in modo organico, non disordinato. Dobbiamo creare una coreografia in linea con quello che stiamo dicendo. Poi, ricordiamoci di staccare i gomiti dal corpo, non siamo dei T-Rex: allargando i movimenti, sembriamo più sicuri».

E la voce?

«Alziamola sempre di un tono. Per gestirla al meglio il segreto è fare un respiro profondo, che arrivi alla pancia e non si fermi alle costole. Attenzione, poi, a staccare le parole. Un esercizio utile è ripetere il discorso aggiungendo una “T” finale a tutte le parole. Poi lo pronunci togliendole e vedrai come suona meglio. E non dimentichiamoci le pause, sono fondamentali».

Perché?

«Ti danno autorevolezza e credibilità. Bastano pochi secondi che a te, però, sembreranno infiniti. E in quegli attimi in cui non parli, non ti muovi, il tuo corpo deve essere attivo, vivace, energico, come un gatto che ha visto la sua preda e la sta per cacciare. La maestra in questo è Paola Cortellesi».

Gli americani sono dei maestri nella retorica

Nel luglio del 2004 Barack Obama è uno sconosciuto giovane senatore dell’Illinois che viene chiamato a tenere il discorso principale durante la Convention del Partito Democratico. Gli bastano 17 minuti per diventare, già quella sera, il futuro dell’America. Poco più di 2.000 parole per un posto nella storia con espressioni come «L’audacia della speranza» o «Il ragazzino magro dal nome buffo», ma soprattutto «Stasera non c’è un’America liberale e un’America conservatrice, ci sono gli Stati Uniti d’America». Pur con tutti i suoi difetti e pur essendo diventata sempre più una questione televisiva specialmente per quello che riguarda i dibattiti presidenziali – come quello tra Kamala Harris e Donald Trump del 10 settembre – è indubbio che la politica americana sia il campo in cui l’oratoria ha ancora il suo compimento più alto, con discorsi che hanno materialmente cambiato la Storia, mettendo in movimento, accelerando dinamiche e istanze sociali, funzionando come propulsori di cambiamento.

Le parole possono cambiare il mondo

I have a dream – pronunciato da Martin Luther King nell’agosto del 1963 – è considerato non solo uno dei discorsi più belli ma anche il più consequenziale: meno di un anno dopo il presidente Lyndon Johnson firma la legge sui diritti civili. Quello del senatore Bob Kennedy a Indianapolis dopo la morte di Martin Luther King, il 4 aprile 1968, riporta la calma tra gli afroamericani in una situazione che poteva diventare esplosiva. Ma anche «Signor Gorbaciov, tiri giù quel muro» urlato da Ronald Reagan davanti alla porta di Brandeburgo a Berlino, il 12 giugno 1987, due anni prima della caduta. O «I diritti delle donne sono diritti umani» detto dalla first lady Hillary Clinton nel 1995 in Cina per la Quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne. «Non ditemi che le parole non contano» dirà quattro anni dopo quei 17 minuti storici, nel 2008, sempre Obama. «È vero che i discorsi non risolvono tutti i problemi. Ma ciò che è anche vero è che se non riusciamo a ispirare il nostro Paese a credere di nuovo, allora non importa quante politiche e piani abbiamo». 

La guida per imparare la retorica

Viva la retorica sempre! Il super potere della parola (Piemme) di Flavia Trupia è un libro ricco di consigli per chi vuole conoscere le basi di quest’antica arte a cui possono fare ricorso non solo politici, personaggi pubblici, manager, ma anche tutti noi. Perché se, come dice l’autrice, la retorica è ovunque, allora bisogna saperla maneggiare con cura e consapevolezza.


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