Una vendetta crudele, vigliacca, subdola, quella del revenge porn. Una vendetta che corre online ti consuma lentamente.
Il podcast 12 minuti con Donna moderna
Ne parliamo anche nella rubrica di Giornale Radio 12 minuti con Donna moderna del 28 aprile 2023.
Revenge porn: la storia di Patrizia
Patrizia, il nome è di fantasia per proteggere la sua privacy, ha appena compiuto 22 anni, parla poco e spesso nasconde il suo bel viso tra le mani. Come a volersi proteggere dagli sguardi e dai giudizi degli altri. Ancora troppo pesanti per lei, fisico minuto e pelle di porcellana, nonostante siano passati quasi 2 anni da quel maledetto giorno. «Era luglio del 2021, ero al mare con i miei genitori e una mia amica mi telefona per dirmi che su un sito porno c’erano le mie foto intime scattate del mio ex fidanzato: purtroppo era vero, era andata a controllare. Di quel momento ricordo solo che ho pianto per 3 giorni di seguito, non sono più uscita di casa, sentivo freddo nonostante fosse estate e morivo di vergogna» racconta, facendo fatica a trovare le parole e a non piangere.
Le vittime del revenge porn in Italia
Purtroppo la storia di Patrizia che nel giro di pochi giorni, in un tam-tam irrefrenabile, ha visto le sue foto pubblicate anche su Facebook, Telegram e diversi siti porno, non è la sola. Anzi. A dirlo sono gli ultimi aggiornamenti del Report sullo stato dell’arte del revenge porn di PermessoNegato (permessonegato.it), associazione non-profit nata nel 2019 che si occupa del supporto tecnologico, legale e psicologico alle vittime di pornografia non consensuale. L’anno scorso ha ricevuto più di 1.700 richieste di assistenza. «I numeri sono impressionanti. La pornografia non consensuale, di cui fa parte il revenge porn, fa circa 2 milioni di vittime nel nostro Paese, e sono 14 milioni gli italiani che guardano in Rete immagini di pornografia non consensuale. L’età media delle vittime è 27 anni, per il 70% sono donne e il 30% uomini» spiega Nicole Monte, avvocata esperta di Diritto delle tecnologie, co-founder e vice presidente di PermessoNegato.
Telegram non rimuove i contenuti
Ma quel numero è sicuramente più ampio di quanto si possa stimare, perché dall’indagine emerge che solo il 50% dichiara di aver denunciato alle autorità: gli uomini non lo fanno perché lo considerano troppo imbarazzante; le donne cercano innanzitutto una “mediazione” chiedendo di rimuovere i contenuti a chi li ha diffusi. Contenuti che, oltre a girare illegalmente sui siti porno, al momento si trovano soprattutto su Telegram, il servizio di messaggistica istantanea con sede a Dubai, che è difficilmente raggiungibile dalla nostra autorità giudiziaria e che, anche se vengono segnalate certe pubblicazioni, non si attiva per rimuoverle. Cosa che invece fanno le piattaforme Meta, come Facebook, Instagram, WhatsApp. «Nel 2022 sono stati rilevati ben 231 gruppi Telegram attivi nella condivisione di immagini di pornografia non consensuale, con un aumento del 21% rispetto al 2021. Giusto per dare un’idea della portata di questo fenomeno, il gruppo Telegram più numeroso preso in esame annovera oltre 540.000 utenti unici» continua l’avvocata.
Manca la percezione del fenomeno
A preoccupare sono, sì, i numeri in continua crescita, ma anche la scarsa percezione del fenomeno del revenge porn. Se infatti è conosciuto almeno per sentito dire dal 75% degli italiani, quasi il 20% è convinto che non si tratti di un reato e perfino il 35% delle persone che lo subiscono non sa che è penalmente perseguibile. Proprio come è successo a Patrizia: all’inizio ignorava che avrebbe potuto denunciare ciò che le era successo ma poi, per fortuna, lo ha fatto.
Il revenge porn è un reato
«Proviamo a fare un po’ di chiarezza: il revenge porn è definito dal Codice Penale come la condivisione, cessione, pubblicazione o diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, a fini ritorsivi o di vendetta o comunque per recare alla vittima un danno. Dall’agosto del 2019 è stato inserito come reato nel Codice Rosso (la legge a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze per atti persecutori e maltrattamenti, ndr) e prevede da 1 a 6 anni di carcere e da 5.000 a 15.000 euro di multa» spiega l’avvocata Nicole Monte.
La colpevolizzazione della vititma
Ma conoscere la legge e i propri diritti non basta, a volte, a dare alle vittime il coraggio di denunciare. «Spesso, soprattutto nelle donne, scatta il “victim blaming”, ovvero la colpevolizzazione della vittima» spiega Francesco Tesser, psicoterapeuta che lavora con PermessoNegato. «La vittima ha la percezione di essere colpevole perché è stata proprio lei a realizzare quelle foto, quei video che poi ha mandato al suo fidanzato. Subentra, cioè, la responsabilità attiva e viene spontaneo dirsi: “È colpa mia perché ho permesso che questa cosa accadesse”». Un meccanismo psicologico che fa scattare in modo automatico il senso di colpa che, insieme alla paura, è la prima emozione che le vittime provano. «Poi di solito subentrano l’inadeguatezza e la vergogna: spesso queste ragazze, che sono state violentate moralmente, senza cioè l’abuso fisico, si arrabbiano con il proprio corpo, stanno male, non vogliono più uscire perché si sentono viste, giudicate, “spogliate”» continua l’esperto.
Come si sente la vittima
Una matassa di sensazioni terribili che possono portare alla depressione e nei casi più gravi anche al suicidio, atto che purtroppo, secondo le statistiche, il 51% delle vittime prende in considerazione dopo aver subìto un episodio di revenge porn. «L’assistenza immediata è il momento più importante » insiste lo psicoterapeuta Tesser. Ed è per questo che PermessoNegato, oltre a dare un aiuto legale e tecnico, quest’anno ha attivato anche il supporto psicologico. Si tratta di una sorta di “primo soccorso”, con un pacchetto che arriva a tre sedute gratuite da un’ora l’una» spiega l’avvocata Nicole Monte. Un grande aiuto che, però, non basta a fermare questo fenomeno. «Per mettere un freno al revenge porn ci vorrebbe un cambiamento sociale, dovremmo lavorare sull’educazione digitale degli utenti che devono diventare capaci di sviluppare una “sensibilità digitale”.
La rinascita
La tecnologia è una porta sul mondo, ma va rispettata e saputa usare. Se si pensa che su Internet si possa scrivere, pubblicare o condividere qualsiasi cosa, non va bene» conclude l’avvocata. E che non vada bene adesso Patrizia ce l’ha ben chiaro. Ma ha chiaro anche che, nonostante tutto, si possa ricominciare a vivere. «Il revenge porn è un’esperienza negativa però, se non si resta solo vittime, se si decide di non rimanere incastrati in quelle dinamiche, ci si può “ricostruire”, trovare un nuovo equilibrio» conclude lo psicoterapeuta. Proprio come è successo a Patrizia, che prima di salutarmi, con un timido sorriso, mi fa vedere una foto del suo nuovo fidanzato.
Chi ti può aiutare
Se pensi di essere vittima di revenge porn, puoi, anzi devi, sporgere denuncia e farti aiutare. Qui ti spieghiamo come
MEMORIZZA tutti i link dove sono state pubblicate, senza il tuo permesso, le immagini intime che ti ritraggono.
FAI UNA SEGNALAZIONE alla Polizia Postale (commissariatodips.it), al Garante della Privacy (garanteprivacy. it) o all’associazione PermessoNegato (permessonegato.it).
RICORDA che PermessoNegato offre anche un “pronto intervento” che consiste in una call di orientamento legale di 20 minuti e in uno sportello psicologico che comprende 3 sedute di un’ora ciascuna. Tutto gratuitamente.